Junji Ito, maestro del Fumetto horror giapponese, è tra i più grandi interpreti del brivido a livello mondiale. Nella sua vasta produzione figurano diverse pietre miliari del genere, come Tomie e Uzumaki – Spirale. I primi due volumi dell’ultimo lavoro del sensei, la trasposizione a fumetti del romanzo Lo squalificato, di Osamu Dazai, sono stati presentati a Lucca Comics & Games 2018, dove abbiamo avuto l’enorme piacere e l’onore di intervistarlo.

Ringraziamo lo staff di Star Comics per la collaborazione, in particolare Cristian Posocco e Mari Nakagawa per la traduzione.

 

Prima di tutto, porgiamo al maestro Ito il nostro benvenuto su BadComics.it.
Sappiamo che ha iniziato la sua carriera di mangaka quando era già un affermato odontotecnico, ma com’è nata la sua passione per il Fumetto e quando ha deciso di farla diventare il suo mestiere?

Tomie, copertina di Junji Ito

Grazie a BadComics.it! Ho cominciato a disegnare manga per hobby all’età di cinque o sei anni. Già allora leggevo opere di grandi maestri di tal genere, tra cui il sensei Kazuo Umezu. Nonostante fossi ancora piccolo, ero affascinato da questo tipo di Fumetto e cercavo di imitare questi autori. Tuttavia, anche in seguito, non ho mai pensato di diventare un mangaka professionista, perché non credevo di esserne all’altezza. Quindi, sono diventato odontotecnico, dopo aver frequentato la scuola professionale.

Mentre lavoravo come odontoiatra, era nata la rivista mensile “Halloween”, edita da Asahi Sonorama, che pubblicava shojo a tematiche horror, la quale aveva indetto il Premio Umezz per tutti coloro che aspiravano a diventare mangaka professionisti. Decisi di tentare, inviando un mio fumetto, che mi valse un premio speciale. Iniziai quindi a lavorare come mangaka senza però abbandonare la professione di odontoiatra. Ho fatto entrambi i mestieri per tre anni – era veramente dura – dopodiché mi sono dedicato completamente ai manga.

Lei è uno dei maestri indiscussi del Fumetto horror: cosa trova di così congeniale e attraente in questo genere da averlo abbracciato appieno?

Come dicevo, il primo fumetto che ho letto era un horror, e in seguito ho continuato a leggere e disegnare manga di questo genere. Credo sia stato una sorta di imprinting, come il pulcino che riconosce come genitore la prima cosa che entra nel suo campo visivo, poco dopo la nascita.

Se ci sono stati, quali sono stati i nomi di riferimento per l’evoluzione del suo stile narrativo e artistico?

Il primo fra tutti è senza dubbio il maestro Kazuo Umezu, il più grande mangaka horror di sempre. Anche il maestro Katsuhiro Otomo mi ha influenzato molto; le sue opere hanno avuto su di me un enorme impatto, perché erano totalmente diverse da tutto quanto avevo visto in precedenza. I suoi disegni erano vere opere d’arte, fatte semplicemente con un pennino. Con il maestro Otomo ho scoperto il lato artistico dei manga.

Parliamo di uno dei suoi titoli più noti, quello che l’ha fatta conoscere in tutto il mondo: com’è nata la protagonista di “Tomie”? È stato influenzato da qualche libro o film in particolare?

“Tomie” è stata la mia prima opera, il titolo d’esordio con il quale ho vinto il Premio Umezz, come ho raccontato prima. Per me, l’immaginario visivo è la cosa più importante per cominciare a lavorare su un’idea. L’immagine è quindi il punto di partenza, quando inizio a dedicarmi a un manga.

“Tomie” mi è stato ispirato dal mio compagno di banco delle Medie, scomparso dopo un incidente stradale. Fu uno shock per me non vederlo più all’improvviso: ci eravamo visti e parlati il giorno prima, e quello dopo lui non c’era più. Rimasi molto scosso e impressionato dal tragico evento. Mi è capitato così di immaginare di rivederlo a scuola come se nulla fosse accaduto. Da qui viene il concetto che sta alla base di “Tomie” e della sua protagonista, che, uccisa dai propri compagni di classe, ricompare il giorno seguente come se niente fosse.

Uno dei suoi fumetti più amati è senza dubbio “Uzumaki – Spirale”, dove l’horror diventa Arte moderna. Penso, ad esempio, alla tavola con la testa della giovane Azami scavata da una spirale. Voleva fin da subito sfruttare il tema delle spirali anche da un punto di vista estetico?

In realtà, l’idea embrionale di “Uzumaki” era quella di una casa, o meglio di una serie di case unite sotto un unico tetto. Doveva essere un edificio lunghissimo e stranissimo, ma una linea retta di case mi sembrava un concetto banale, così ho pensato di arrotolarla su se stessa. Da lì è nata l’idea della spirale: uzumaki, in giapponese. Inizialmente non avevo riflettuto sugli effetti che quest’immagine potesse avere dal punto di vista horror. Solo dopo ho realizzato le sue potenzialità estetiche, il suo impatto non soltanto da un punto di vista inquietante, ma anche le sue implicazioni artistiche, come giustamente hai sottolineato tu.

In “Gyo – Odore di morte” e “Remina l’astro infernale” l’orrore ha rispettivamente una natura tecnologica e fantascientifica. Entrambe le opere hanno un carattere apocalittico e si chiudono con un finale indefinito, dunque ancor più terrificante. Rispecchiano in qualche modo una sua diffidenza verso la Scienza e verso il futuro?

Sì, sicuramente sì. I miei genitori hanno vissuto la tragedia della Seconda Guerra Mondiale. In casa mia, ogni tanto, si parlava di questo, soprattutto dell’angoscia allo scoppio del conflitto e della paura di essere arruolati per il fronte. Da piccolo fui piuttosto colpito da queste storie e nacque in me la paura che potesse scatenarsi nuovamente una guerra terrificante. Ancora oggi mi porto dentro quest’irrequietezza, che talvolta gli accadimenti mondiali mi sembrano acuire. Il futuro e gli armamenti tecnologici mi preoccupano, e irrimediabilmente ho trasmesso questo stato d’animo nelle mie opere.

Con “Dissolving Classroom” torna l’elemento diabolico e i protagonisti sono di nuovo personaggi giovani e oltremodo inquietanti. È la giovinezza deturpata, corrotta, che ci vuole raccontare attraverso la deformazione della metafora narrativa?

In realtà non ho mai riflettuto su questo aspetto. “Dissolving Classroom” è uscita per Akita Shoten ed era la prima volta che collaboravo con questa casa editrice. Il suo editor aveva letto diversi miei manga precedenti e gli era piaciuto molto “Il libro delle maledizioni di Soichi”, uscito in Giappone per Asahi Shimbunsha. Mi aveva quindi richiesto di realizzare un fumetto utilizzando alcuni elementi presenti in “Soichi”, come personaggi giovanili e dal carattere oscuro. Così la piccola Chizumi è diventata un po’ la versione femminile di Soichi.

La sua interpretazione di “Lo squalificato”, di Osamu Dazai, inizia con un esplicito parallelismo fra l’esistenza tormentata e infelice dell’autore con quella del suo protagonista Oba. Cosa l’affascina di più del romanzo originale e dello stesso autore?

Il protagonista di “Lo squalificato” ha problemi a relazionarsi con il prossimo. Per ovviare a ciò sceglie di indossare una maschera, quella di buffone, al fine di cercare in qualche modo l’approvazione dagli altri. Mi ha ricordato per certi versi la mia adolescenza, quando anch’io indossavo una maschera per farmi accettare. Mi sono immediatamente immedesimato nel protagonista del romanzo e ho provato sincera compassione nei confronti del suo autore, Osamu Dazai, che è l’alter ego di Oba.

Ci dice il titolo di un fumetto che ha letto, o che sta leggendo, e che vorrebbe consigliare al pubblico di BadComics.it?

Senza dubbi “Aula alla deriva”, del maestro Kazuo Umezu. E poi direi “Maison Ikkoku”, della sensei Rumiko Takahashi. Attualmente sto seguendo “Akagari”, del maestro Osamu Yamamoto, in corso di pubblicazione nel mio Paese sulla rivista “Big Comic Original”, di Shogakukan.

 

Junji Ito