Nel corso di Napoli Comicon 2017 abbiamo avuto la possibilità di intervistare Gipi, uno degli artisti italiani più influenti e apprezzati del panorama fumettistico. La sua ultima graphic novel, La terra dei figli, ha rappresentato per lui una prova decisamente forte e sperimentale, lontana da territori narrativi a lui più congeniali.

Si ringrazia sinceramente Luca Baldazzi e tutto lo staff Coconino Press.

 

Ciao, Gipi e benvenuto su BadComics.it. “La Terra dei figli” è il tuo ultimo romanzo grafico, uscito ormai diversi mesi fa. A distanza di questo intervallo temporale, quali sono le tue impressioni? Sei soddisfatto della riuscita finale e che reazioni hai ricevuto dal tuo pubblico?

È stato un cambiamento radicale e allo stesso tempo molto spaventoso. Durante la realizzazione avevo paura che i miei lettori più affezionati non si sarebbero trovati a loro agio con una narrazione così differente. Avevo bisogno di farlo, altrimenti sarei morto come autore. Per me è il libro migliore che abbia mai realizzato, sono contento di come sia venuto e anche per le reazioni che ha suscitato. Sarà pubblicato in diciotto nazioni, non pensavo che fosse possibile.

Negli ultimi anni sei stato coinvolto in iniziative che ti hanno portato lontano da territori a te più congeniali, penso a “La terra dei figli” e al gioco di ruolo “Bruti”. Per un artista come te, che ha una reputazione solida e una tradizione narrativa ormai consolidata, da dove nasce questa voglia di sperimentare?

Il gioco è una passione che io coltivo sin a quando ero ragazzo e che non ho mai abbandonato. Ci sono tanti lati della mia personalità che mi portano a intraprendere attività leggere e divertenti, altre decisamente più cupe. Ecco, il gioco è una di quelle leggere. In passato ho già creato altri giochi e a un certo punto ho sentito il desiderio di pubblicarne qualcuno. Ed è stato bello. C’è tanta gente che gioca e vederli divertirsi con qualcosa creato da me mi fa star bene.

La voglia di continuare a scrivere è qualcosa di innato, son fatto così e non potrebbe essere diversamente. Non mi fermo a riflettere su quale dovrebbe essere il risultato finale, non ho alternative: o scrivo un fumetto o muoio, mi ammalo. Se mi ritrovo troppo tempo senza disegnare mi domando se non soffro di qualche patologia sconosciuta. In realtà la cosa dipende solo dal fatto che è tanto che non lavoro a una storia. Non c’è nulla di pensato, è solo il mio modo di stare al mondo.

Alla luce delle tue ultime prove, senti di stare sperimentando più sotto il profilo narrativo o sotto quello artistico?  

Sotto il profilo artistico devo sicuramente continuare a lavorare tantissimo, sebbene, dopo aver realizzato La terra dei figli, mi è venuta voglia di proseguire un percorso narrativo in cui il mio io narrante non è presente come in passato. Dopo aver scritto una storia, con la successiva cerco sempre di spingermi ancora più avanti e quella a cui sto lavorando ora prosegue in questa direzione. Sto cercando di lavorare a qualcosa di ancora più grande, con personaggi ancora più lavorati, con maggior spessore.

A questo punto devo chiederti se puoi anticiparci su quello a cui sta lavorando!

Non ho problemi a parlarne, la mia unica paura è di non realizzarla e passare per un cialtrone come successo in passato! [ride] Sarà una storia di fantascienza, senza astronavi o altre cose del genere. Semplicemente sarà ambientata in un futuro remoto su una stazione mineraria di un pianeta lontano.

Questa edizione del Napoli Comicon ha come tema il rapporto tra fumetto e web. Qual è il tuo rapporto con questo medium? Quanto pensi possa aver giovato al settore?

Vivo il mio rapporto con il web così come vivo quello con tutti gli altri aspetti della mia vita: bene e male. Lo vivo bene perché per noi che facciamo i fumettisti è bello potersi confrontare con i lettori, anticipare qualcosa di quello su cui stiamo lavorando, cercare nuovi autori, seguire quelli che più preferiamo.

È sicuramente un male perché spinge alla vanità, all’affermazione di sé come immagine anche quando non si ha nulla da dire. Male anche perché spinge le persone a diventare aggressive, cosa che non mi è mai capitata nella vita reale. Ci sono persone che su Facebook mi insultano pesantemente e mai, in vent’anni di attività, ho trovato qualcuno qui alle fiere che mi abbia ripetuto le stesse cose in faccia. Eppure io peso 30 chili bagnato, non incuto paura o altro. I social network spingono le persone a essere peggio di quanto non siano nella realtà.

Ultimo aspetto che non mi piace è che si entra in contatto con gente che nella vita reale non faresti entrare a casa tua. Se mi entra un nazista in casa, io lo prendo a sprangate e lo spedisco fuori. Su Facebook non è così, non sai chi ti “entra in casa”. Bisogna saper gestire queste cose.

Oggi molti giovani autori riescono ad arrivare alla pubblicazione delle proprie opere passando prima dal web. Credi che questo percorso possa portare nuova linfa al mondo del fumetto? 

Rappresenta sicuramente un bene. Bisogna capire se un autore ha davvero quest’urgenza di pubblicare subito qualcosa oppure dovrebbe prima maturare per arrivare a poter – e saper – raccontare qualcosa. Non credo che il successo veloce e immediato dettato dai “like” possa essere una cosa buona per i giovani autori. Il giorno in cui i “like” diventano a pagamento e devi dare 50 centesimi per pigiare quel tasto non credo che ricevano le stesse reazioni. Prima di definire “genio” una persona bisogna capire quanto si è disposti a investire.

Gipi e Pasquale Gennarelli