All’ultima edizione di Napoli Comicon abbiamo avuto il piacere di intervistare Marco Corona, autore di Krazy Kahlo, graphic novel incentrata sulla figura di Frida Kahlo e ideale prosecuzione di Frida Kahlo – Una biografia surreale, pubblicata nel 2006 da Stampa Alternativa.

Un sincero ringraziamento allo staff di 001 Edizioni per l’occasione concessaci.

 

Ciao, Marco e benvenuto su BadComics.it! Partiamo da “Krazy Kahlo”, tua ultima fatica editoriale: cosa lega questo nuovo capitolo all’opera precedente che avevi realizzato sull’artista?

Possiamo considerarlo una sorta di chiusa definitiva per quanto mi riguarda. “Frida Kahlo – Una biografia surreale” è stato il lavoro con il quale ho iniziato la mia carriera e con cui volevo omaggiare questa figura così importante per me. Inoltre, dal punto di vista narrativo, volevo conferire un aspetto più espressivo alla storia, a differenza della prima opera, che aveva un approccio più lineare alla vita dell’artista, più rispettoso della sua biografia. Con “Krazy Kahlo” ho deciso di intraprendere un viaggio interiore legato al dolore che lei arginava con le medicine. Definiamolo un commiato.

C’è stato un evento in particolare, personale o professionale, che ti ha spinto a ritornare sull’opera oppure è stata più una tua esigenza in quanto narratore, come a voler riprendere, o chiudere, qualcosa che avevi lasciato in sospeso?

No, non c’è stato alcun evento, questo posso dirtelo con certezza, a posteriori. Quando mi hanno proposto di rieditare “Frida Kahlo – Una biografia surreale”, era previsto che realizzassi un semplice prologo per giustificare questa nuova edizione. A quel punto mi è venuta l’idea di realizzare una storia a sé stante da aggiungere alla precedente. Mi sono detto: se proprio devo chiudere con il personaggio, voglio farlo in bellezza. E così è stato.

In questa nuova storia c’è qualcosa che avevi lasciato in sospeso nella precedente edizione e che con il passare del tempo hai maturato dentro di te?

Assolutamente sì. Più che una maturazione posso dire che c’è stato un cambiamento. Il segno che utilizzavo prima andava bene per il tipo di storia che volevo raccontare all’epoca. Dopo tanti anni sono cambiato come persona, è cambiato il mio modo di approcciarmi alle cose ed è cambiato il mio tratto.

In fondo, la biografia l’avevo già trattata, quindi volevo un po’ sconfinare. A questo proposito ho preso in prestito il personaggio e tutto l’immaginario di “Krazy Kat”, di George Herriman. Il fumetto, infatti, è ambientato in un deserto dove, durante una crisi di astinenza raccontata, un dottore tenta di raggiungere Frida, ma arrivando tardi, quando è ormai già morta. Lei era legata a questi medicinali, che assumeva per limitare i dolori. Alla lunga, però, le offuscavano la mente conducendola in quegli stati alterati. Ecco, nella mia opera ho cercato di ricreare una situazione simile.

Parli di Frida Kahlo con grande trasporto: da dove nasce il tuo rapporto con quest’artista?

Per motivi diversi siamo stati entrambi operati alla schiena. Lei per un incidente, io per una deformazione congenita. Questo è stato solo uno spunto, il trovare una persona che abbia avuto la mia stessa patologia. In più, ho scoperto dei suoi trascorsi incredibili, che aveva frequentato personaggi della cultura del Novecento come Lev Trotsky, André Breton e Picasso. Insomma, era inserita in un ambiente culturale molto fertile che mi offriva tanto materiale su cui lavorare.

Da dove nasce la scelta di raccontare la vita di Frida da una prospettiva sicuramente originale, ovvero dal suo dolore?

Sono partito dall’idea e dalla consapevolezza di voler realizzare un lavoro di estrema finzione. Rappresentare il dolore, anche solo raccontarlo, è qualcosa di veramente intimo e difficilmente qualcuno riesce a darne una descrizione che si avvicini, anche solamente di poco, alla realtà.

Ci tengo a precisare che si tratta di un lavoro di finzione perché non c’è alcuna velleità di raccontare con precisione fatti accaduti. Definiamola una rievocazione che il disegno, in maniera espressiva e in alcuni momenti espressionista, riesce a trasmettere. Frida è un personaggio la cui fama continua a crescere, e tutti i media hanno trattato la sua vita. Molti anni prima che realizzassi la mia biografia, Madonna aveva mostrato un forte interesse che ha giovato all’artista.

Sotto il profilo artistico, invece, com’è cambiato il tuo stile tra le due opere?

Più che artista mi definisco uno pseudo-artista, una persona più attenta al lato artigianale del disegno che non a quello artistico. L’artista è tutt’altra cosa, Frida è un’artista in quanto legava la sua vita all’Arte. Io faccio fumetti, e non reputo i fumetti una forma d’arte pura.

Nella mia evoluzione del tratto sono passato da quello più tondeggiante degli esordi a uno decisamente più graffiato e sporco. Questo cambiamento è dovuto a una maggiore sicurezza nei miei mezzi: quando sei insicuro utilizzi uno stile più lineare, che riesci a controllare meglio. Con l’andare degli anni, con l’esperienza e dopo aver imparato tante cose, ho lasciato un po’ andare il tratto, così da essere più libero ed espressivo.

Poco prima di iniziare questa intervista abbiamo avuto modo di parlare di Fumetto indipendente. Oggi ti senti un autore libero di presentare alla tua casa editrice un’opera slegata da logiche di mercato? Riesci a mantenere quell’anima underground che da sempre ti accompagna?

Mi poni una domanda che tiene occupata la mia mente da ormai diversi anni. Non so se ne sono più capace, così come non so se ci sono ancora le condizioni per farlo. Non so dirti se non accetterebbero un mio lavoro, per quanto sperimentale. Ovviamente ti sto parlando di un lavoro comunque pubblicabile, che rispetti certi canoni e non sia un qualcosa di illeggibile.

Sono io che non trovo più la forza di cercare la libertà espressiva che avevo agli inizi. Quando ho concepito “Frida Kahlo – Una biografia surreale”, lo immaginavo completamente slegato da ogni logica di mercato. L’ho pensato, realizzato e consegnato senza un lavoro di editing successivo o pressioni esterne. Ed è stata l’unica volta in cui è successo, nonostante nell’ambiente sia considerato uno degli artisti più liberi. Ma non è così. Pubblicare per una casa editrice è un po’ come entrare in casa di estranei, porsi con rispetto nei confronti di chi ti ospita. È diverso che fare un’opera per se stessi.

A volte penso di dover iniziare a lavorare in coppia con qualcuno che abbia una griglia stretta, perché io non riesco a trovare più quelle condizioni che avevo prima. Ma il fatto di aver lavorato per tanti anni da solo ha fatto sì che oggi nessuno mi prenda sul serio. [ride]

Alla luce di quanto hai appena detto, puoi svelarci quali lavori hai in cantiere per il futuro prossimo?

Tanti progetti, ma tutti difficilmente realizzabili. Da quando mi sono nati i bambini ho trovato molte difficoltà a lavorare. Prima, per me, scrivere era un’esigenza legata profondamente alla mia irrequietezza. Adesso, dopo essermi realizzato come persona, aver messo a tacere alcune voci interiori e una nevrosi che mi trascinavo appresso, ne ho ridimensionato l’importanza. Sono un po’ di anni che mi rendo conto di non essere più in grado di concretizzare quello che ho dentro, mi manca quell’energia, quel bisogno che avevo prima.

Questa edizione del Comicon è legata al rapporto tra Fumetto e Web. Credi che abbia portato qualcosa di buono al settore?  

Assolutamente sì. Tra Fumetto e Web non c’è alcuna frizione. La polemica nasce dalla mia generazione, o da quella immediatamente successiva alla mia, non da chi è nato con il Web e che questa domanda nemmeno se la pone. È una forma di comunicazione che va usata, riempita, e fa bene chi la sfrutta al massimo. La distanza la percepisce chi vuole percepirla, ma io non credo che esista davvero.

Devi considerare che la classe che determina una cultura è sempre prudente e critica – forse anche troppo – nei confronti di ciò che arriva di nuovo. Non è facile farsi scavallare dalle nuove generazioni. Ma quella che stiamo vivendo è un’ondata così forte, così viva che non si può trascurare. O ti adatti o muori. Il mio rapporto con i social è molto pigro, non mi rendo davvero conto delle reali potenzialità di questo strumento.

Marco Corona e Pasquale Gennarelli