Steve Orlando, sceneggiatore della nuova serie Justice League of America, lanciata di recente negli Stati Uniti in quella che si può definire la “fase 2” del rilancio Rinascita, ha raccontato di sé, del suo passato e della sua carriera in una lunga intervista a Newsarama, della quale vi riportiamo i passaggi salienti.

Orlando si è dimostrato un vorace lettore e un grande appassionato di fumetti sin dalla tenera età:

 

Justice League of America #2, copertina di Ivan ReisSono un appassionato da quando acquistavo fumetti a venticinque centesimi al mercato delle pulci. Con i fumetti puoi andare ovunque. Sono qualcosa di selvaggio, e al loro interno ci sono sempre state meravigliose assurdità che hanno attirato la mia attenzione.

Il primo fumetto che acquistai fu un numero di West Coast Avengers nel quale Tigra ed Hellcat litigavano per colpa del costume della seconda e finivano per combattere Squalo Tigre. Nella serie c’erano anche Hank Pym e tanti elementi che probabilmente non avrebbero dovuto funzionare insieme e che invece davano vita a una combinazione perfetta che girava a meraviglia in quelle storie così audaci e divertenti. Mi innamorai di quel fumetto [West Coast Avengers #15 – NdR], tanto che continuai a seguire la serie, anche perché al mercato delle pulci non c’erano mai nuove uscite.

Sono sempre stato un fan di tutta la loro mitologia, del folklore e della cultura pop. I fumetti riescono a combinare meravigliosamente tutte queste cose. Più leggevo e capivo come le storie venivano realizzate e più realizzavo che volevo far parte di quel mondo. Ed è per questo che iniziai a frequentare i Comic-Con e a chiedere informazioni in giro. Questo è il motivo per cui sono entrato nel settore e ho iniziato a lavorare come autore di fumetti.

Inoltre, sono sempre stato molto attirato dalla collaborazione che c’è all’interno di un team creativo: si lavora assieme ci si migliora l’un l’altro, così da dar vita a qualcosa che nessuno avrebbe potuto realizzare da solo.

Se sei uno sceneggiatore devi amare il concetto di collaborazione. Di sicuro, ci sono tanti bravi autori completi. Ma da semplice scrittore, è proprio questo che mi attrae: cedere il controllo di quanto hai scritto a qualcun altro è qualcosa di spaventoso, ma anche incredibilmente appagante. Proprio per questo i fumetti sono sempre qualcosa di rischioso da creare, ma la ricompensa è molto appagante quando il tutto prende vita, qualcosa di più grande della semplice somma dei singoli contributi. Qualcosa che può esistere solo in questo mondo.

Supergirl: Rebirth #1, copertina di Emanuela LupacchinoPer prima cosa iniziai a prendere contatti con piccole case editrici, offrendomi di lavorare gratis, una mossa che credevo incredibilmente efficace, prima di apprendere che che lo facevano tutti. Parlando con vari editor e autori ho ricevuto tanti consigli su come migliorare il mio lavoro, non solo per sfondare, ma anche per rendere le mie storie semplicemente migliori. Cosa che poi mi ha portato a sfondare. È importante conoscere persone che un giorno potrebbero concederti un’opportunità, così come essere pronto a realizzare qualcosa di davvero pubblicabile quando questa opportunità si concretizzerà.

Così, cominciai a scrivere storie e a frequentare le fiere. È stato un lungo cammino. Mi ci sono voluti diciassette anni per entrare davvero a far parte di questo mondo, perlomeno agli occhi di molti. Dal mio punto di vista c’ho messo un po’ meno perché qualcosa di mio fosse pubblicato.

La chiave di volta è stata approcciarsi a questo mondo in modo umile ed entrare in contatto con persone per le quali nutrivo e nutro grande rispetto, chiedendo loro come le mie storie potessero essere rese migliori. A poco a poco sono arrivate le loro risposte, in un periodo di circa quindici anni, e si è giunti così a un punto in cui il mio lavoro era davvero pubblicabile.

Può essere qualcosa che spaventa, e non è detto che vada sempre così, ma a volte sì. E se vuoi veramente qualcosa, se ci tieni abbastanza, allora può succedere, per alcuni in poco tempo, mentre per altri magari ci vorrà un po’ di più. La cosa importante è non arrendersi mai, perché, come nel mio caso, ci si può impiegare più tempo di quanto preventivato. Probabilmente, lungo la strada, ho pensato di arrendermi un migliaio di volte.

Avevo tredici anni quando contattai la prima casa editrice, quattordici quando andai al primo Comic-Con. Dovevo guadagnare abbastanza vendendo lattine usate da potermi permettere il biglietto aereo per andare al Wizard World Chicago, nel 2000. Questo era l’accordo con i miei genitori: io mi sarei pagato il biglietto, loro mi avrebbero pagato l’albergo.

Midnighter #1, copertina di ACOPer un anno andai in giro a raccogliere lattine per tutto lo Stato di New York, così da poter andare alla fiera. Ma prima di tutto feci un tentativo con un piccolo editore chiamato Bloodfire Studios. Avevo scritto una miniserie in quattro parti con protagonisti dei vampiri, e ovviamente credevo fosse la cosa migliore mai scritta nel mondo dei fumetti. Ora preferisco non pensarci.

Negli anni, tante cose non sono andate come previsto, e quel fumetto non vide mai la luce. Era la mia curva d’apprendimento. A Chicago incontrai Tony Bedard e Barb Kesel della CrossGen, che mi insegnarono cose basilari ma fondamentali. Ho trovato persone che sono state molto pazienti con me, oltre che di grande aiuto.

Alle superiori, ho studiato la lingua russa e scrittura creativa, scrivendo e illustrando una storia di cento pagine per la mia tesi di diploma in russo, ma non in scrittura creativa, perché – sorpresa – quello che realizzai non era classificato come scrittura. Dunque, invece di andare all’università sono entrato nel commercio del vino, perché fortunatamente c’era una vineria nei pressi di casa mia. Ho fatto questo lavoro per nove anni, fino all’anno scorso. Ho voluto mantenere questo impegno giornaliero finché non ho firmato il mio primo contratto in esclusiva. Lo faccio ancora oggi, ma part-time, giusto per tenermi un’altra porta sempre aperta, perché non amo lavorare chiuso in casa ogni giorno. Penso che questo serva ad avere un proprio equilibrio, piuttosto che stare davanti al computer tutto il giorno.

Non ho pensato di poter avere una carriera in questo mondo fino all’uscita di Midnighter. Avevo già pubblicato Undertow per la Image e due storie brevi per la Vertigo. E prima di allora c’era stata l’antologia di Mystery in Space – primo lavoro professionale in assoluto – e CMYK: Yellow. E poi anche Outlaw Territory nel 2008, che fu candidato a un premio Eisner.

Questo è ciò che mi è accaduto. In pratica, solo con Midnighter ho iniziato a pensare che scrivere fumetti potesse avere la priorità sull’altro mio lavoro. Prima di allora non era qualcosa di economicamente sostenibile.

 

 

Fonte: Newsarama