Domenica scorsa, a Cartoomics 2017, abbiamo incontrato David Lopez. Il disegnatore della Nuovissima Wolverine, di Captain MarvelX-Men e Catwoman è stato così gentile da scambiare quattro chiacchiere con noi.

Ovviamente, il tutto è stato possibile grazie alla cortese collaborazione dello staff Panini Comics, che ringraziamo.

 

Ieri, all’incontro con il pubblico, hai parlato di una storia che pubblicherai per Panel Syndicate, scritta e disegnata da te. Direi che è mio dovere chiederti se puoi rivelarci qualcosa in merito.

Certo. Si tratta della storia di una ragazza il cui padre era il più grande supereroe di un’epoca del recente passato. Lei non ha la possibilità di essere una supereroina, un po’ per questioni familiari, un po’ perché ricopre un incarico politico. Tuttavia, alla morte di suo padre, si rende conto di quanto la sua figura sia un modello fondamentale per lei. In più, proprio al funerale, scopre di avere una sorella. Da qui inizia la storia, che è una commedia con supereroi, sostanzialmente.

Un’altra cosa interessante che hai detto al pubblico è che ti senti maturo per tornare a scrivere le tue storie grazie ai grandi sceneggiatori con cui hai avuto modo di lavorare in questi anni e alle cose che hai imparato da loro. Al che, ti chiedo… cosa hai imparato da Brian Wood, per esempio?

X-Men #37, copertina di David LopezUna cosa che ricordo di Brian è la prima storia che ho disegnato per lui, che era quasi priva di azione, ma aveva in particolare una scena, forse la migliore di sempre, tra Tempesta e Ciclope. Dopo una missione di ricognizione, Tempesta si trova nella situazione di dover mentire in faccia a Ciclope, sostenendo che il team non abbia trovato nulla sul luogo esplorato, quando invece non è vero.

Niente azione per tutta la storia, ma c’è del dramma nel modo in cui Brian ha scritto quella scena, comunicando una tensione fra i personaggi interessantissima che ti teneva incollato all’albo e dimostrando quanto i rapporti tra i personaggi siano il vero motivo del fascino delle storie di supereroi.

E io sono convinto che nessun fumetto ne sia colmo più di quelli degli X-Men, una soap opera con mutanti, come Brian Wood ha imparato molto bene e ha mostrato molto bene.

A proposito degli X-Men, di cui sei appassionato, la sensazione è che siano rotolati molto lontano dalla loro natura e dalle loro origini, negli ultimi anni, distante dal gruppo di eroi che lottano per un mondo che li odia e li teme e da tutti quei temi sociali e politici di cui sono portatori.

Tanti anni fa, credo ci si potesse definire o fan degli X-Men o fan degli Avengers, non di tutti e due. Oggi, invece, quella netta differenza è un po’ caduta e le cose si sono mescolate molto, si è persa un po’ l’identità degli X-Men. Io ho una teoria, ed è solo una teoria, ma non è solo mia: credo che dipenda molto dal fatto che la Marvel non detiene i diritti cinematografici per i mutanti e per questo non gli interessa lavorare tanto sul loro concept e sulle implicazioni sociali.

Se pensi a un ambito metalinguistico, trovi la conferma: un po’ come se i mutanti e gli X-Men fossero un prodotto editoriale che lotta per la Marvel, una casa editrice che non li comprende e li odia perché sono diversi [Ride].

Andrea Sorrentino, il tuo collega italiano, mi ha detto una cosa simile, cioè che più montava la polemica riguardo all’atteggiamento verso i mutanti – e legata alla questione dei diritti – più la Marvel “trattava male” gli X-Men per farne parlare e creare interesse.

Non so se direi che li ha trattati male, ma certamente la Marvel ha giocato su questo discorso. Certamente non hanno investito energie come tanti anni fa succedeva, come negli anni Ottanta, quando gli X-Men erano la pietra di paragone con cui venivano valutate le vendite di ogni serie dell’epoca.

Tornando al tuo rapporto con gli sceneggiatori, mi hai detto cosa ti porti dietro dall’esperienza con Brian Wood, ora ti chiedo invece qualcosa su Tom Taylor, interessantissimo giovane e tuo collega su All-New Wolverine, che è il fumetto per cui sei qui a Milano oggi.

Tom Taylor viene anche dal mondo dell’animazione, dove lavorava come sceneggiatore, quindi è interessante perché ha uno sguardo in parte dall’esterno, rispetto al mondo del fumetto. Ha lavorato anche nel campo dei videogiochi. Credo che questo renda molto interessante la sua visione.

E quali altri sceneggiatori sono importanti per te?

All-New Wolverine #1, variant cover di David LopezBe’, Kelly-Sue DeConnick, per me, è il Cholo Simeone del fumetto. Segui il calcio? Lo conosci? Simeone è un’istituzione per l’Atletico Madrid. Quando la squadra ha bisogno del sostegno del pubblico, il Cholo fa due passi in avanti, incita il pubblico e quello prende vita in maniera incredibile. Anche i giocatori, in una intervista, ti dicono che se lui gli chiede di fare qualcosa, loro la fanno, perché lui è totalmente partecipe del destino della squadra.

Kelly Sue, altrettanto, si mette totalmente in quello che fa e si mette completamente a disposizione dell’opera motivando tutto il team creativo. Se lei ti chiede una settimana in più perché vuole finire la sceneggiatura, anche se sai che dovrai lavorare come un pazzo per recuperare il tempo, per lei lo fai volentieri. Kelly-Sue è come una mamma lupa feroce che protegge i suoi collaboratori. Mi è capitato che qualcuno criticasse il mio lavoro su Captain Marvel e lei regolarmente è intervenuta a sostenere la qualità del mio operato. Non potrei mai dire niente di male su di lei.

Quel che più le ho rubato è forse la passione. Forse è anche colpa sua se ora ho voglia di fare fumetto indipendente, perché ho visto con quanta convinzione lei abbia iniziato la sua avventura su Pretty Deadly, subito dopo il successo di Captain Marvel. Probabilmente mi ha trasmesso anche questo.

Ieri hai anche speso belle parole per Kitty Pryde, come personaggio. Visto che hai questa passione per lei e hai voglia di scrivere storie, non è che ti vediamo su una serie dedicata proprio a lei?

Mi piacerebbe, ma è un personaggio che amo soprattutto da lettore. Non so bene cosa potrei fare con lei come autore. Adesso come adesso, sono innamorato di Rachel Summers e di Jubilee, che oggi è un personaggio strano, mezzo vampiro. Ma del resto è la natura dei mutanti, essere fuori dagli schemi. Mi ricordo Generation X, che era una banda di freak ed era un gruppo meraviglioso. Così devono essere i mutanti. Morrison, quando scriveva gli X-Men, secondo me aveva colto perfettamente il tono necessario. Io sono un più da commedie. Andrei bene per una bella storia liceale.

Un po’ come dice il tuo amico Pepe Larraz, che ti propone come autore di storie d’amore e romantiche.

Ah, sì, mi piacciono molto. Dopotutto la Marvel, un tempo, aveva un buon numero di serie su questo argomento. Credo fino agli anni Ottanta. Adesso, invece, fa solo supereroi, ma un tempo c’era una linea molto forte di soap opera. E, ripeto, X-Men è una soap opera, alla fine. Tutti i migliori momenti della loro storia ricadono sotto quel genere.

Parlando dei mutanti di oggi, invece, pensi che Laura Kinney, se la Marvel avesse il coraggio di dire “niente più Logan, non tornerà mai più” e puntare con convinzione su di lei, avrebbe la forza di entrare nei cuori dei fan come il nuovo Wolverine in maniera definitiva?

Aspetta, dai. Prima di tutto X-23 già c’è nel cuore dei lettori. Mi ricordo che, quando dovevo iniziare a disegnare la serie, il web è impazzito per le proteste da parte di chi diceva che era un affronto darle il nome di Wolverine, che doveva rimanere a Logan, a un uomo. Io intervenivo nelle discussioni invitando prima a leggere le storie, dicendo ai fan che gli sarebbe piaciuto molto il fumetto. Dopo il primo numero, moltissimi, sin da subito si sono convinti. Dopotutto, Laura è geneticamente Logan per il novanta e passa percento. Nessun altro personaggio potrebbe portarne il manto al di là di lui.

Ma è chiaro che il Wolverine originale non può restare morto a lungo, per una questione di marketing: ha troppo peso ed è troppo importante. Ma, come per Occhio di Falco, per cui esiste la versione femminile, credo che anche il nome di Wolverine possa essere condiviso.

Ti faccio la stessa domanda che ho fatto a Pepe Larraz: c’è qualche autore italiano che ritieni importante per te, come artista?

Direi che ce ne sono due. Uno è Manara, che per me è un riferimento fondamentale, dato che io lavoro moltissimo con i personaggi femminili. Il secondo è Guido Crepax. Crepax è un mio mito anche per ragioni personali, perché ricordo di aver letto Valentina a quattordici anni e quell’esperienza mi ha fatto scattare qualcosa nel cervello e mi ha cambiato la vita. Come pure la sua forma di narrare decompressa, il non sequitur delle sue storie. Anche il suo senso del design è impressionante. Non so se sia arrivato prima lui o Steranko a certe soluzioni grafiche, ma se è arrivato prima Crepax, credo che certe pagine di Nick Fury non sarebbero state possibili, senza di lui. Crepax è uno Steranko sotto LSD.

Altri sceneggiatori con cui hai lavorato e da cui hai rubato qualcosa?

Peter David è bravissimo, ma il migliore, dal punto di vista tecnico, è Paul Dini, che è incredibile. Una sceneggiatura di Paul Dini si disegna praticamente da sola, mentre la leggi.