In occasione dell’esordio de Il cuore della Città la quarta delle quattro serie Wilder originali, abbiamo intervistato gli autori Francesco Savino (testi) e Giulio Rincione (disegni, colori e lettering), che ci hanno parlato della loro storia.

 

Ciao, Francesco e Giulio! Benvenuti su BadComics.it.

Savino – Ciao a voi, e grazie per l’ospitalità!

Rincione – Ciao!

Veniamo subito al sodo: di cosa parla davvero Il cuore della Città? Da dov’è nata l’idea per questa storia?

Il Cuore della Città, copertina di Giulio RincioneSavino – L’idea per Il cuore della Città mi ronzava in testa da tanti anni. Aveva un altro titolo, aveva un’altra trama, aveva un’altra struttura. Era tutto diverso, eppure allo stesso tempo era sempre Il cuore della Città. Ci sono voluti anni e c’è voluto – soprattutto – l’incontro con Giulio perché tutto trovasse il proprio, giusto spazio. L’idea iniziale ruotava attorno a un personaggio in una metropoli sconosciuta che vagava in balia di abitanti surreali e di situazioni al limite del grottesco.

Quando ho scoperto l’arte di Giulio, ho capito che poteva essere l’unico a disegnare una storia così. E quando ha accettato, la storia si è evoluta a un livello più profondo, che probabilmente portavo dentro di me senza saperlo fino in fondo.

Ecco, potrei dire così: Il cuore della Città parla di quello che ci portiamo dentro senza saperlo fino in fondo.

Rincione – Credo che Il cuore della Città possa benissimo parlare di ognuno di noi. Della nostra solitudine, della nostra costante sfida con il mondo che ci circonda, del nostro continuo sforzo di trovarci un posto, uno spazio tutto per noi. Di essere riconosciuti. Si sta rivelando un’esperienza nuova e molto stimolante. Sono grato a Francesco per avermi scelto come compagno di viaggio in questa avventura urbana.

Francesco, ci parli del protagonista? Chi è, da dove viene?

Savino – Di lui sappiamo poco, e forse quel poco che sappiamo neanche importa. È appena arrivato nella grande città, ma non sappiamo perché. Non conosciamo il suo nome, ma ci basterà chiamarlo “il ragazzo”.

Sarebbe bello se tutti quelli che hanno vissuto un’esperienza simile potessero rivedersi in qualche modo nel protagonista. Arrivare a pensare, mentre leggono il capitolo, che quelle sensazioni sono le stesse che hanno provato anche loro.

La città in cui si muove il protagonista è popolata da individui ordinari, ma anche da altri piuttosto peculiari: chi si nasconde davvero tra queste strade? 

Savino – Nel primo capitolo ho introdotto alcuni personaggi che torneranno, altri che non torneranno e alcuni che non vedremo mai. Mi piaceva l’idea di suggerire una sorta di complessità di fondo senza però mai farla vedere nella sua interezza.

Abbiamo conosciuto “Il sindacato”, questa strana associazione formata dai personaggi caratteristici e ricorrenti che si ritrovano un po’ in tutte le grandi città.

Abbiamo conosciuto “la donna degli insetti”, un emissario della metropoli.

Abbiamo parlato de “L’uomo dei semafori”, senza però mostrarlo. In quella che può sembrare una lotta tra bene e male, volevo dare l’idea che la posta in gioco fosse terribilmente alta e che le parti in campo fossero molte di più di quelle mostrate. Noi, e il protagonista con noi, non sapremo mai a quale delle due fazioni appartengono gli individui in cui ci imbatteremo nella città.

In alcune vignette del primo capitolo abbiamo notato degli esseri mostruosi e grotteschi: Giulio, chi o cosa ti ha ispirato nella loro realizzazione?

Rincione – Non ho mai fatto segreto di quali siano gli autori che più mi ispirano. Da Wood a Sienkiewicz, a McKean. Eppure, proprio in questi ultimi mesi di lavoro e di studio, ho scoperto una passione e un amore viscerale per Basquiat. Con le sue forme, le sue linee, Basquiat è riuscito a farmi ascoltare il jazz con la linea, con i colori.

I miei mostri, soprattutto quelli stilizzati, sono frutto di questo legame che spero possa fortificarsi e portare a nuove e imprevedibili soluzioni, in futuro.

Francesco, l’ambientazione urbana – sebbene “fuori dalla norma” – è stata uno degli elementi narrativi anche di Vivi e Vegeta: cosa ti affascina – o ti spaventa – delle città? 

Savino – È vero, l’ambientazione urbana mi affascina molto. Credo sia dovuto anche al fatto che è sempre stata meno raccontata della provincia, ritenuta invece il luogo introspettivo per eccellenza. A me piace pensare alla città come un microcosmo in cui poter spaziare e raccontare storie di qualsiasi genere. Un universo fantasy da approfondire, a cui sono legate sensazioni ed emozioni profonde e per nulla scontate.

Il contesto urbano, percepito generalmente come spaventoso, può regalare l’inaspettato, può meravigliare e stupire con la bellezza che si nasconde nei piccoli gesti quotidiani. Ed è questo che mi interessa raccontare.

Per il design della Città che dà il titolo al progetto quali località reali avete preso come riferimento? 

Savino – È inutile negarlo, il mio trasferimento a Milano è stata la molla principale che mi ha portato a raccontare questa storia. Le strade della metropoli avranno inevitabilmente qualcosa di Milano, anche se io e Giulio abbiamo lavorato in questo senso allo scopo di rendere la città della storia il meno identificabile possibile. Come dicevo, l’obiettivo è di rendere questa storia un’esperienza fruibile a chiunque. E sarebbe bello se il lettore, oltre a ritrovare parte di sé nel protagonista, riuscisse a rivedere nella nostra metropoli quella in cui ha vissuto la propria avventura.

Rincione – Io Milano l’ho vista poco in vita mia, quindi non sto molto a soffermarmici. Cerco piuttosto di modellare la città, le strade, in modo tale da essere sempre funzionali all’inquadratura e alla narrazione. A livello estetico cerco di variare: da alcuni prospetti americani, tipici di Hell’s Kitchen passo a “fotomanipolazioni” di scorci di Milano che Francesco mi passa come reference. L’importante è che il luogo sia soffocante e misterioso.

Giulio, la narrazione grafica presente in questa serie è molto particolare, nervosa e irregolare: come hai deciso di impostare la costruzione della pagina? Puoi raccontarci qualche aneddoto sulla lavorazione, o parlarci di che tipo di sperimentazione hai messo in atto?

Rincione – Quando, ormai nel lontano 2012, cambiai radicalmente il mio modo di disegnare, spostandolo verso lo stile che vedete oggi, lo feci ispirandomi fortemente ad Ashley Wood. Wood, però, aveva un “potere” troppo forte nei miei confronti e fui costretto ad allontanarlo, per evitare un’inutile emulazione che veniva quasi involontaria.

A distanza di quattro anni, ho deciso di riprovarci. Di riprendere in mano la monocromia e tutte quelle sintesi del segno che mi fecero fare il salto. È un esperimento, sto esplorando la mia vera natura, cercando di capire cosa voglio e cosa non voglio sacrificare, cosa è davvero importante per me in una tavola e nel disegno.

Veniamo infine alla colorazione, molto suggestiva: quanto è importante il colore – e questo tipo di scelte cromatiche – ne Il cuore della Città

Rincione – Direi fondamentale. Come dicevo, le tavole nascono in grigio. E su quel grigio poi decido che tipo di tonalità adottare a seconda del pathos della scena. Per le tonalità mi servo di piccolissimi ritagli di foto che ingrandisco a dismisura, fino a far separare i colori nei pixel. Anche questa è una tecnica nuova per me, e spero stia funzionando a dovere.

Com’è strutturata la serie? E cosa devono aspettarsi i lettori nei prossimi capitoli? 

Savino – Il cuore della Città è un viaggio, e come nel migliore dei viaggi sarà presente un duplice aspetto: un viaggio fisico e un viaggio interiore. La divisione in tre capitoli da venti pagine ciascuno, con una classica struttura in tre atti, contribuisce a sviluppare il tema proprio in questo senso. Certo, in questo caso si tratterà di un viaggio alienante e all’insegna dell’inquietudine, ma in fondo chi l’ha detto che dev’essere altrimenti?

Rincione – Mostri. E mostri. E spero che Francesco inserisca anche altri mostri.