Tra le varie fiere del fumetto che abbiamo seguito nel 2016 non poteva mancare una manifestazione in fortissima crescita al suo secondo anno di vita: ALEComics. In quell’occasione abbiamo avuto l’occasione di incontrare diverse personalità di prestigio del settore, tra cui Andrea Cavaletto, firma ben nota a tutti i fan di Dylan Dog. Quale miglior occasione per parlare dei 30 anni dell’Old Boy e dei suoi attuali progetti?

 

Ciao, Andrea, e benvenuto su BadComics.it. Cominciamo da come hai conosciuto Dylan Dog: da lettore o da autore?

Ciao a tutti. Ho conosciuto Dylan come lettore, assolutamente. Sono quasi un lettore della prima ora. Comprai il numero 5, Gli uccisori, nel lontano 1987, e da lì non l’ho mai più lasciato. Sono legatissimo al genere horror e una serie come questa non poteva mancare nella mia collezione.

Come sei entrato nel team creativo di Dylan Dog?

Ricordo che telefonai in redazione e parlai con Mauro Marcheselli. Fu molto gentile, come sempre, ma mi disse che al momento lo staff era al completo e non cercavano altri sceneggiatori. Tuttavia aggiunse che ero libero di mandare delle storie, di provarci. Non ci ho pensato due volte: ho preparato un po’ di soggetti e glieli ho girati. Marcheselli li ha quindi passati a Giovanni Gualdoni, all’epoca editor del personaggio, e con lui ho sviluppato la sceneggiatura per la mia storia d’esordio, uscita sul Maxi numero 13 e intitolata L’armata di pietra.

Com’è stato approcciarsi al personaggio, entrarci in sintonia? E come ti rapporti con la responsabilità di scrivere un fumetto della caratura di Dylan Dog?

Maxi Dylan Dog 13Come lettore e appassionato conoscevo profondamente il personaggio. Quando mi sono proposto alla redazione pensavo di essere pronto. Vi racconterò un aneddoto a tal proposito. Molti anni prima, quando ancora non mi ero presentato alla Bonelli, Luigi Piccatto aveva visto alcuni miei script e li aveva sottoposti a Marcheselli, a cui era piaciuto un soggetto in particolare non incentrato su Dylan Dog, ma che riguardava una mia graphic novel. Marcheselli mi chiamò a casa chiedendomi se avevo voglia di trasformare quel soggetto in una storia per Dylan Dog. In quel periodo lavoravo come sceneggiatore professionista da poco tempo e non accettai, non mi sentivo all’altezza. Una cosa folle, assurda, direte voi. Ma sono fatto così. [sorride]

Quindi, quando anni dopo mi sono fatto avanti, mi sentivo in grado di affrontare la sfida, che fu tutt’altro che facile. Ricordo che per aver l’approvazione definitiva sul soggetto ci vollero nove mesi, in cui scrissi e riscrissi parecchie parti. Al settimo volevo gettare la spugna, e devo ringraziare Gualdoni se sono arrivato in fondo, perché fu lui a dirmi di non mollare, che ero vicino al traguardo, che ero nella media di altri stimati colleghi e di non demoralizzarmi. C’erano autori che erano riusciti in meno tempo di me, ma altri ne avevano impiegato anche molto di più.

Così arrivai alla fine, poi lo sviluppo della sceneggiatura fu molto più facile. La cosa mi ha segnato e mi è servita perché ancora adesso dedico parecchia attenzione e cura al soggetto. Poi la sceneggiatura mi viene molto più semplice, scorrevole.

Hai lavorato e lavori ancora per il cinema. Le similitudini tra Settima e Nona Arte sono molte: la cosa ti ha aiutato? Ti è stata utile per affrontare lo script di un fumetto?

Sì, lavoro ancora adesso su corti e lungometraggi. Per il fumetto l’esperienza cinematografica mi aiuta soprattutto a ottenere la giusta sintesi e a rimanere in tema, a puntare nella giusta direzione.

Se dovessi usare tre aggettivi per definire Dylan Dog, quali sarebbero?

Personale, profondo, intelligente.

Se Dylan Dog non fosse un fumetto, sarebbe…?

Una bella serie TV.

Cosa, secondo te, Dylan Dog non farebbe mai?

Dylan Dog 352: La calligrafia del doloreQuesta è una bella domanda, perché Dylan è un essere umano, con tutti i suoi pregi e difetti. È la sua forza impareggiabile, rispetto alla maggior parte degli altri fumetti. Secondo me, un essere umano messo in determinate situazioni, è in grado di fare qualunque cosa. Per cui, a mio parere, non c’è una cosa che Dylan non potrebbe fare.

Ci sforziamo come uomini e come autori di essere coerenti, di dare coerenza alle nostre azioni e ai nostri personaggi, ma spesso ci dimentichiamo che siamo umani e che l’imprevedibilità e l’agire in modo addirittura opposto in situazioni diverse, sono nostre caratteristiche fondamentali.

La domanda mi piace perché questo è uno dei temi che mi stanno più a cuore ed è alla base delle cose che scrivo, non solo per Dylan. In questi giorni, infatti, ragionando su storie future, pensavo proprio al fatto di metterlo in condizioni estreme. Se l’editor me lo concederà, vorrei porre Dylan in circostanze tali da reagire non da par suo, facendogli anche fare cose “che non farebbe mai”, come chiede la tua domanda. Non posso dirti altro perché altrimenti ti rivelerei il soggetto che ho in testa. [ride]

Quale storia non scritta da te ricordi in modo speciale e perché?

Quando scrivo ci sono cinque o sei storie che ho sempre in testa e con le quali mi confronto con il dovuto rispetto, perché sono capolavori. Sono Le notti della luna piena, Gli uccisori, La bellezza del demonio, Attraverso lo specchio, La casa degli uomini perduti e Memorie dall’invisibile.

Qual è, invece, la tua storia che ricordi in modo speciale?

Al momento ti rispondo così: il bello deve ancora venire. Credo onestamente di non aver dato ancora il massimo su Dylan. Ho dovuto imparare a rispettare le varie regole che lo riguardano e non è stato sempre facile. Ora le briglie si sono allentate e spero di poter approfittare dell’occasione.

Credo tu ti riferisca al nuovo corso gestito da Roberto Recchioni: ti sei trovato a tuo agio?

Assolutamente. Ha lasciato molta più libertà agli autori, e penso che tutti ne abbiano guadagnato. La prima storia che ho scritto per il nuovo editor, per Recchioni, è La calligrafia del dolore, ma non è ancora il Dylan che ho in testa, che vorrei scrivere. Quando Roberto mi disse “sei libero”, non avevo ancora capito quanto intendesse. Mi sono svincolato dagli schemi delle sceneggiature precedenti, ma quella mia storia è ancora “vintage”, legata al Dylan tradizionale.

Le ultime due in fase di lavorazione e l’ultima a cui sto lavorando, proprio in questi mesi, sono convinto rappresentino quello che posso e so fare su Dylan e anche come scrittore di fumetti in generale. Sono molto soddisfatto ti questi lavori, spero lo siano poi anche i lettori. [sorride]

A proposito della libertà concessa agli autori con il nuovo corso, c’è un comprimario della serie a cui vorresti dare più spazio?

Sì, sicuramente ho delle idee per Bloch. Farei una storia solo su di lui, perché è un comprimario di grandissimo spessore, con molte sfaccettature, e a me piacciono tanto le figure malinconiche come lui. Se ne avessi la possibilità punterei su di lui.

Se potessi ringraziare Dylan di persona, per ciò che rappresenta per te, cosa gli diresti?

Lo ringrazierei per quanto ha rappresentato e rappresenta per me. Soprattutto il Dylan di Sclavi è stato, ed è, uno dei miei punti di riferimento come scrittore di fumetti e per il cinema. È parte essenziale della mia formazione e se faccio questo mestiere devo ringraziare anche il capolavoro di Tiziano Sclavi.

Visto che è il suo 30° anniversario, come faresti il tuo personale augurio al nostro Old Boy?

É una domanda davvero tremenda, per me. Sono una frana a fare gli auguri. Non scrivo mai biglietti, perché ho sempre paura di metterci frasi banali. Per cui mi cogli davvero impreparato… Gli augurerei comunque almeno 30, anzi molti di più, di giorni come questi.

Puoi darci qualche dettaglio in più su quello a cui stai lavorando per Dylan Dog?

Ho già due storie pronte, sceneggiate e consegnate ai disegnatori, che faranno parte della collana Old Boy. Una mi sta parecchio a cuore, perché parla di un tema molto delicato: una strage a scuola. È una storia dura, drammatica e intensa. Anche l’altra ha un soggetto particolare. Posso dire poco, ma ha a che fare con la natura, intesa come Natura con la “n” maiuscola e come natura umana. È una storia introspettiva, onirica e piuttosto inconsueta.

Adesso invece sono al lavoro su un racconto ancora per la testata Old Boy, incentrata sul consumismo e sul nichilismo nel consumismo.

Vorremo concludere chiedendoti qualche anticipazione anche sui tuoi progetti che non riguardano Dylan Dog.

Paranoid Boyd 5Certamente. Ho scritto un’altra storia breve per Mostri, per la Bugs Comics, che sarà ancora disegnata da Marcello Mangiantini. Sto proseguendo con Paranoid Boyd, per Edizioni Inkiostro: è un progetto che mi sta portando via parecchio tempo, ma che mi dà in cambio grandissime soddisfazioni a livello personale. Lì posso esprimermi in totale libertà, non ho vincoli né barriere. La serie è mia, così come i personaggi, per cui posso sbizzarrirmi come meglio credo. È una sfida con me stesso. Penso di aver creato un fumetto che si possa leggere su più livelli. Lo spunto è la paranoia e le sue infinite declinazioni; e la paranoia è una delle psicosi che caratterizzano la società moderna. Anch’io ne soffro. La conosco bene e ovviamente cerco di portarla agli estremi nel mio fumetto, ma credo che un po’ tutti ne soffriamo e ne siamo soggiogati, chi più chi meno.

In fondo però mi diverto come un pazzo a scrivere Paranoid Boyd, a confondere e spiazzare il lettore, perché il primo a essere spiazzato sono io. A volte mi chiedo se la scena che ho scritto è accaduta veramente o è solo il frutto della mia fantasia. [sorride]

Per quanto riguarda il cinema, ho finito di scrivere con Francesco Massacesi la sceneggiatura per la trasposizione in film di Pornofagia, una mia graphic novel che ho pubblicato con Absoluteblack un po’ di anni fa – sette, per la precisione – e, se tutto andrà bene, diventerà un lungometraggio. Poi sarò sul film antologico P.O.E. 4 in cui tre registi indipendenti racconteranno secondo diversi punti di vista IL GATTO NERO. Io ho scritto una versione particolare del racconto per uno dei tre registi, Domiziano Cristopharo. E poi ci sono altre cose in pentola ma è troppo presto per dirle.