Warship – Jolly Roger è sicuramente uno dei titoli più interessanti emersi dall’ultima Lucca Comics & Games. Grazie a Star Comics, anche il pubblico italiano può finalmente leggere i primi due capitoli di questa space opera in salsa piratesca che ha portato sotto le luci della ribalta il suo giovane ideatore e disegnatore: Miki Montlló.

Lo staff della casa editrice perugina ci ha dato la possibilità di fare due chiacchiere con l’impegnatissimo artista spagnolo e di scoprire così la genesi del suo fumetto, oltre alle diverse influenze che hanno contaminato il suo lavoro.

 

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Partiamo dalla genesi di Warship – Jolly Roger: come sei approdato al mercato francese?

Warship - Jolly Roger vol. 1: Senza Ritorno, di Sylvain Runberg e Miki Montlló - Star ComicsPrima approdare al mondo del fumetto, per due anni ho collaborato alla realizzazione di storyboard per film e serie televisive d’animazione, sebbene non siano particolarmente conosciute. Ma la mia vera passione erano i fumetti e, credimi, conoscevo bene le difficoltà che avrei incontrato una volta entrato a far parte di questo universo. Non mi riferisco solo a quelle tecniche, ma anche a quelle economiche: vivere con i fumetti è davvero difficile.

Grazie a una serie di eventi che si sono combinati, un’offerta di lavoro concreta è arrivata nel corso del Festival di Angoulême del 2010, dove presentai un piccolo progetto interamente realizzato da me. Un mese prima della fiera ero nel mio studio a pensare cosa avrei voluto fare nel caso avessi avuto l’opportunità di lavorare su una serie mia; così ho pensato di scrivere una storia classica di avventura ispirata al libro che stavo leggendo in quel periodo, ovvero L’Isola del Tesoro di Louis Stevenson. Ho deciso di unire gli elementi fantascientifici a quelli dell’avventura, ambientando la storia nello spazio e cercando di creare qualcosa di nuovo, per renderla unica nel suo genere, secondo una mia ben precisa visione. L’idea è piaciuta e abbiamo iniziato a lavorarci su.

E così è nato Warship – Jolly Roger. Se guardiamo al materiale presente nel primo volume edito da Star Comics, quanto c’è di tuo?

Praticamente tutto. L’idea di base è mia, i personaggi sono miei, l’universo così come è strutturato è stato creato da me. In pratica avevo già pronta la sceneggiatura per la serie, ma parlandone con l’editore mi è stato fatto notare come la mia esperienza nell’industria dei fumetti, in particolare come scrittore, dovesse ancora essere affinata, o comunque migliorata e, sinceramente, ero d’accordo. Così mi hanno inviato alcune opere di scrittori professionisti che avrebbero potuto affiancarmi e, dopo aver letto Orbital, decisi che volevo collaborare con Sylvain Runberg. A quel punto ci siamo confrontati e abbiamo iniziato a lavorare su alcuni aspetti della storia originaria, fino a realizzare il primo volume.

Com’è stato lavorare con un altro autore su una tua idea?

Assolutamente facile, la collaborazione tra noi è stata semplice e immediata. Da parte di Sylvain c’è stato un grande rispetto della mia idea iniziale. Ovviamente i nostri punti di vista erano differenti, ma l’idea di base non è stata assolutamente toccata. A quel punto la storia si è evoluta in qualcosa di diverso, qualcosa che nelle mani di Sylvain è diventata molto più mainstream rispetto alla mia versione iniziale, che era decisamente più strana, forse meno commerciale. Come saprai, gli editori ci tengono a vendere i loro albi, ovviamente. E in questo devo riconoscere la bravura di Sylvain nella costruzione di una storia che funziona alla grande: si articola su diverse linee temporali e ha un’impalcatura complessa che difficilmente sarei riuscito a realizzare.

Sei un appassionato di fantascienza?

Sì, assolutamente sì. Ho sempre avuto una grande passione per libri, film o serie TV di questo genere. Tieni presente che anche nelle mie opere precedenti ho sempre inserito elementi sovrannaturali ereditati dalle serie sci-fi, e ho sempre cercato di riprendere elementi della tradizione classica e moderna. Ho letto tanto, in particolare autori della Golden Age americana. Philip K. Dick è il mio preferito, lo amo davvero molto.

Sotto l’aspetto narrativo, quali sono le caratteristiche principali del volume che ne hanno decretato il grande successo? In fase di recensione ho rimarcato la centralità delle vicende umane, rispetto all’estetica delle battaglie, delle astronavi e della tanta azione presente in queste pagine.

Esattamente. Era proprio questa la mia idea iniziale, volevo raccontare la relazione tra i diversi personaggi, specialmente concentrandomi sulla figura controversa di questo soldato, Munro, e del suo essere padre. Per questo aspetto mi è venuto in aiuto L’Isola del Tesoro di Stevenson, solo che ho preferito utilizzare l’immensità dello spazio come campo in cui far muovere i miei personaggi e in cui far nascere queste relazioni tra i diversi componenti dell’equipaggio: quattro persone che non hanno nulla in comune, ma che sono costrette a fare squadra per superare le difficoltà e aiutarsi l’uno con l’altro. Questa è l’idea cardine, partire dall’immaginario che offre Star Wars, per poi declinarlo in maniera differente.

In che modo hai deciso di declinarlo, nello specifico?

Star Wars offre una visione che riconduce tutto a un contrasto bianco/nero – il lato chiaro e il lato oscuro – mentre io credo che questa visione delle cose, della vita, sia troppo semplicistica. Non mi piace. Volevo realizzare un universo che fosse differente, un universo che nonostante abbia raggiunto uno stato di benessere, sia arrivato a distruggere se stesso, tornando anche a uno stato bruto. Nel mezzo della narrazione ci sono due personaggi che pur di sopravvivere si aiutano l’uno con l’altro, pur essendo completamente differenti tra loro. Uno dei due è un soldato che ha fatto cose orrende, eppure ha una sua grande umanità. E come padre è disposto a tutto.

Abbiamo tirato in ballo Star Wars: non posso non chiederti se, in fase di scrittura, hai tenuto presente alcuni elementi caratteristici di questa iconica saga, o se, invece, te ne sei tenuto alla larga.

Se decidi di realizzare una space opera, sai benissimo che non puoi evitare un confronto con Star Wars, non puoi non fare riferimento a quell’immaginario. Quindi, ho cercato di mantenere una certa distanza tra la mia storia e Star Wars, soprattutto perché reputo quella di George Lucas una storia generica, lineare, in cui vengono usati dei personaggi stereotipati. In termini di storyline ho preferito guardare più a Star Trek, che ha un’impostazione sicuramente più complessa, sotto tanti aspetti anche molto più interessante.

Come disegnatore, qual è il tuo approccio alla tavola? Quale tecnica preferisci utilizzare quando realizzi una storia?

Warship - Jolly Roger vol. 1: Senza Ritorno, anteprima 01All’inizio volevo produrre qualcosa di diverso, di estremamente originale. Mi sono approcciato al disegno con una tecnica classica: matita e china. Ma la disciplina del disegno applicata al fumetto è davvero complessa, quindi sono stato spinto a lavorare in digitale, che è invece un metodo decisamente più facile e divertente. Inoltre, lavorare in digitale ti offre la possibilità di apportare piccoli cambiamenti ogni volta che vuoi, senza perdere quanto fatto in precedenza.

Prima, invece, quando lavoravo con il metodo tradizionale, dovevo già avere un’idea ben precisa di quello che avrei voluto ottenere dalle tavole, perché una volta passato il disegno a china, o inseriti i colori, non potevo più tornare indietro. Inoltre, lavorare in digitale ti offre la possibilità di tornare sulle pagine precedenti, cambiare dettagli e adattare il tutto alle pagine successive: onestamente è un metodo più pratico. In futuro tornerò sicuramente a lavorare con la matita, ma per ora preferisco la tecnica digitale.

Attualmente a cosa stai lavorando? Hai in cantiere qualche altro interessante progetto?

Warship - Jolly Roger vol. 1: Senza Ritorno, anteprima 03È un periodo molto intenso per me, perché sto viaggiando davvero tanto. Ho vissuto in Irlanda, in precedenza a Berlino e prima ancora in Spagna, ma ora sono tornato in Irlanda, dove sto lavorando ad alcuni progetti di animazione, che resta sempre una mia grande passione. L’anno prossimo usciranno alcuni film d’animazione sui quali sto lavorando proprio ora. Contemporaneamente sto disegnando una decina di pagine per una serie, Overwatch, che uscirà presto; il tutto tenendo anche dei workshop presso alcune Accademie.

Per quanto riguarda Warship – Jolly Roger, la storia dovrebbe concludersi con il quarto capitolo. Dico “dovrebbe” perché non so se ci saranno le possibilità e la voglia di portare ancora oltre questa storia. Mi piacerebbe realizzare qualche spin-off per mettere in luce i vari personaggi. La storia principale è concepita per chiudersi con il quarto capitolo, dopodiché gradirei cambiare genere narrativo: fare qualcosa di diverso, non legato alla fantascienza, più vicina al soprannaturale. Amo molto queste atmosfere: le cose strane e l’inconsueto mi attirano. Il mio lavoro sarà indirizzato verso quel genere.

Hai utilizzato a più riprese la parola “strano”. A questo punto la domanda sorge spontanea: hai avuto modo di vedere l’ultima pellicola dei Marvel Studios, Doctor Strange? Se sì, cosa ne pensi?

È un film assolutamente fantastico. Considera che non sono un grande fan dei film Marvel Studios, ma Doctor Strange è un film veramente interessante. In particolare mi premeva capire come avrebbero approfondito l’aspetto ideologico del personaggio. Credo che le pellicole Marvel abbiamo una forte componente politica. Prendi ad esempio i film di Iron Man, o l’ultimo di Captain America: sono film che si concentrano molto su domande del tipo “cosa faresti se avessi i poteri?”. Ovviamente in un contesto così politicizzato era interessante capire come avrebbe potuto inserirsi una figura come quella del Doctor Strange, come la sua spiritualità e la sua magia avrebbero potuto dialogare con il contesto Marvel, così diverso, senza che la tecnologia entrasse in gioco. Questo ha rappresentato per me l’aspetto più interessante del film.

Grazie, Miki! Attendiamo con ansia il tuo prossimo volume a fumetti!

Ciao, e grazie a voi per questa intervista!

Lucca Comics & Games 2016: Miki Montllo e Pasquale Gennarelli