Lucca Comics & Games 2016 verrà certamente ricordata come un’edizione ricchissima di autori di livello internazionale. Tra le prestigiose firme che hanno contribuito a formare davanti allo stand Panini Comics lunghe code di appassionati, c’era anche il grande artista croato Goran Parlov, presente alla fiera toscana per promuovere il suo Starlight, scritto da Mark Millar.

Grazie allo staff della casa editrice modenese abbiamo avuto l’opportunità di chiacchierare con lui, soffermandoci sulla sua carriera e sui suoi progetti futuri.

 

Ciao, Goran, benvenuto su BadComics.it.

Grazie, grazie a voi.

Sei a Lucca per Starlight, ma ci piacerebbe cominciare questa intervista ripercorrendo insieme a te i tuoi esordi come disegnatore professionista: quando è nata la tua passione per il fumetto è quando è diventata un lavoro?

Nick Raider 64, copertina di Bruno RamellaLa mia passione per il fumetto è nata leggendo un titolo italiano magari oggi un po’ dimenticato: Il Grande Blek.  È opera del trio EsseGesse, Giovanni Sinchetto, Dario Guzzon e Pietro Sartoris. Mi ha aperto le porte di questo mondo fantastico. Tutto è iniziato da lì. Cominciai a leggere anche Alan Mistero e Il Comandante Mark. Adoravo EsseGesse, non dimentichiamo Capitan Miki.

Dopo di ché ho iniziato a fare qualche lavoretto qua e là, in Croazia, ma sempre per il mercato estero. Quando fui pagato per la prima volta, c’era ancora l’ex Jugoslavia e un’inflazione altissima; ricordo che spesi l’intera cifra in una stecca di Marlboro: volevo togliermi lo sfizio di fumare sigarette allora costosissime per me [sorride].

Non esisteva, tuttavia, un vero mercato del fumetto in Croazia, così decisi di venire in Italia e iniziai a lavorare con Giancarlo Berardi e Ivo Milazzo su Ken Parker, pubblicato dalla loro Parker Editore. Erano i primi anni ’90, o quasi.

Quando è cominciata la tua collaborazione con Sergio Bonelli Editore?

L’anno seguente più o meno. Era il 1993, se non sbaglio. Iniziai a collaborare con Claudio Nizzi su Nick Raider 64. Poi venne uno Speciale di Tex, sempre con Nizzi [L’ultima frontiera, 1997 – NdR] e quindi cominciò il mio legame professionale e umano con Gianfranco Manfredi su Magico Vento, per il quale ho illustrato anche l’albo d’esordio di Volto Nascosto.

Ti rivedremo prima o poi tornare a lavorare per Bonelli?

Sì, non ho mai smesso di lavorare per Bonelli: quando non lavoro per lei, la considero solo una pausa. Non mi hanno mai licenziato! [ride]. C’è un rapporto fantastico con Bonelli, la considero quasi una mia famiglia. Da un po’ di tempo sono impegnato sul mercato americano, ma tornerò sempre volentieri a lavorarci.

Hai parlato di America: ci puoi raccontare com’è arrivata l’occasione di metterti in mostra oltreoceano?

Per puro caso, grazie a un amico: Goran Sudzuka. Lui stava già lavorando negli Stati Uniti per la Vertigo, su Outlaw Nation con Jamie Delano. Era molto impegnato in quel periodo e mi chiese di aiutarlo con le matite. È stato un bel trampolino di lancio perché non molto dopo mi arrivò l’offerta della Marvel per The Punisher e lo scrittore era Garth Ennis. Ero euforico e allo stesso tempo incredulo!

A proposito del Punitore, tu ed Ennis tornerete presto con una storia inedita intitolata The Platoon. Puoi anticiparci qualcosa al riguardo?

Si tratta della conclusione di un’intera saga, relativa alle run del decennio scorso. Torniamo di nuovo in Vietnam con un Frank Castle giovanissimo che non ha ancora ammazzato nessuno, un’anima innocente [sorride]. Però in lui già traspare la sua vera indole, vedrete le avvisaglie di ciò che diverrà da grande. È una storia bellissima, dove ho dato tutto me stesso e che ho quasi concluso. Non vedo l’ora di vederla pubblicata. È una miniserie di sei capitoli e penso esordirà a inizio 2017.

Veniamo a Starlight. Come ha preso forma questo progetto uscito negli States per Image Comics e presentata in Italia in anteprima qui a Lucca da Panini? C’è una curiosità in particolare su come sei stato contattato da Millar, vero?

Sì, è vero. [ride]. Ho trovato nella mia casella di posta elettronica una mail di Mark con questo oggetto: “Goran, I want to shower you…” [“Goran, voglio ricoprirti…”] Ho aperto la mail e c’era scritto “with money” [“di soldi”]. Ho pensato subito a spam, come se mi avesse scritto Margot Robbie per dirmi che voleva fare l’amore con me. L’ho cestinata immediatamente. Per fortuna si è fatto vivo di nuovo! [ride]

Hai fatto squadra con grandi scrittori, sia in Italia che in America: cosa ci puoi dire di loro?

Starlight #1, copertina di John CassadayDevo dire che sono stato fortunato. Ho sempre lavorato con sceneggiatori molto bravi e che apprezzo molto, a partire da Berardi e Nizzi, con cui ho cominciato. Ma ci tengo a ricordare anche Gino D’Antonio, con cui c’era un bel legame d’amicizia e mi ha addolorato molto la sua scomparsa; mi piaceva tanto lavorare sulle sue sceneggiature. Anche con Manfredi si è instaurato un rapporto splendido: è lo scrittore italiano che conosco meglio, per il quale ho prodotto più tavole e a cui devo molto. Sono cresciuto professionalmente con lui e ci capiamo alla perfezione.

Anche con Garth c’è un bellissima intesa. Mi sembra di lavorare da sempre con lui, prima The Punisher, poi Fury e adesso ancora The Punisher. È un autore e una persona sempre brillante, le sue pagine sono sempre molto chiare; quando leggo i suoi script riesco immediatamente a immaginarmi le vignette e le sequenze, senza il minimo dubbio. Tra le tante, ha una capacità straordinaria di spiegare in modo conciso ciò che vuole. Ogni volta mi stupisce quanto riesca a esprimersi bene con una manciata di parole; ma le devi seguire alla lettera: le sue sceneggiature sono perfette così come sono.

Con Mark ho avuto invece una libertà incredibile. Ho partecipato insieme a lui alla creazione del soggetto di Starlight, ed esteticamente i personaggi sono miei, con alcuni suoi suggerimenti. Ma ripeto, lui ti lascia la possibilità di discutere sempre. Per esempio, a un certo punto, dopo un primo episodio molto emozionate e intimo, la sceneggiatura ha cominciato a essere molto violenta e gli l’ho fatto notare: “Guarda, Mark, io non riconosco più la storia, mi sembra tutt’altro rispetto all’idea iniziale”. Lui mi ha prestato subito ascolto e ha fatto dei cambiamenti dandomi ragione e aggiungendo: “Se noti la stessa cosa di nuovo, fammelo sapere e parliamone”. È sempre molto aperto a ogni soluzione. Garth e Mark hanno due modi di lavorare molto diversi, quasi opposti, ma sono entrambi due grandissimi autori e io riesco a trovarmi alla grande con loro e con il loro modo di intendere il fumetto.

Che differenza c’è, a tuo parere, tra fare fumetto in America e in Italia?

I ritmi di lavoro sono praticamente identici, o cambia poco. In America hai più libertà, poche regole e tanti stili e generi su cui sbizzarrirti. In Italia, con Bonelli, ci sono molte più regole da seguire e secondo me è un bene per un giovane disegnatore. È una grande scuola. Una volta che hai lavorato in Bonelli, puoi lavorare ovunque. Non so se vale il contrario.

Oltre a The Punisher stai lavorando su altri progetti?

The Platoon mi sta portando via tutto il tempo, al momento, ma mi sono visto con Mark qualche mese fa, ed è probabile che Starlight abbia un seguito. Abbiamo già buttato giù qualche idea, vedremo…

Concludiamo con una nostra tradizionale domanda a fine intervista: stai leggendo qualche fumetto che ti ha colpito particolarmente e che vorresti consigliare al pubblico di BadComics.it?

Io leggo quasi esclusivamente manga. Ne leggo tantissimi, tutti i giorni. Adoro Junji Ito, un maestro del fumetto horror. Forse in Italia è stato tradotto poco, ma è fantastico. L’ho scoperto di recente e me ne sono innamorato subito.