Abbiamo incontrato Flaviano Armentaro a Rapallo, in occasione della Mostra Internazionale dei Cartoonists appena svoltasi, e lo abbiamo intervistato riguardo la sua recente esperienza alla Marvel, su una serie molto apprezzata e discussa come Power Man and Iron Fist. Flaviano è stato così gentile da rispondere alle nostre curiosità sul fumetto di David Walker e Sanford Greene, artista che ha sostituito alle matite con successo di critica, nei cinque numeri tie-in di Civil War II.

 

Grazie mille, Flaviano, per la tua disponibilità e bentornato su BadComics.it. Siamo molto, molto incuriositi dalla tua recente esperienza al di là dell’Oceano Atlantico, anche se non l’hai varcato fisicamente. Abbiamo dato notizia noi stessi di una tua intervista rilasciata a siti americani in cui esprimevi grande entusiasmo per questa avventura.

Confermo. La mia esperienza con le major americane era iniziata con la DC, su Harley Quinn & Power Girl, che, per quanto soddisfacente, non aveva una continuità, era un lavoro molto saltuario. Invece, poi, è arrivata la Marvel, che mi ha proposto di coprire tutti e cinque i numeri tie-in di Civil War II della serie Power Man and Iron Fist, occasione per lavorare con più regolarità e su un titolo che trovo davvero fighissimo. Sta piacendo molto negli Stati Uniti.

Anche da noi si è visto il primo numero e personalmente l’ho adorato.

Infatti. David Walker è uno sceneggiatore bravissimo. Non lo dico io, ma tanti professionisti americani, presso i quali è davvero molto rispettato. E poi la serie ha successo anche perché è stato capace di inserire tutti i vari temi sociali di cui, negli ultimi tempi, si parla di più negli Stati Uniti; infatti è una testata molto, molto seguita da tutta la comunità black, che di solito non ama moltissimo i supereroi per la prevalenza di bianchi caucasici in cui non si rispecchiano molto. Power Man and Iron Fist è invece molto inclusiva, con un vero e proprio melting pot, che ha aiutato parecchio.

Tra l’altro, Walker scrive una serie supereroistica, ma con molti contenuti anche umoristici. Soprattutto il personaggio di Iron Fist, rispetto al recente passato delle gestioni Fraction/Brubaker e, più recentemente, Kaare Andrews, è molto meno serioso. La cosa non credo ti dispiaccia, dato che questo stile narrativo è abbastanza nelle tue corde.

Diciamo che ci sono diversi elementi da sit-com nella serie. Iron Fist è decisamente il pagliaccio della situazione, mentre Luke Cage è quello un po’ più serio. Sono nati dei veri e propri tormentoni che si ripetono. Ormai siamo al decimo numero e ogni volta che Luke riceve una telefonata da Jessica Jones c’è questa gag di Danny che gli chiede ossessivamente di salutarla da parte sua e nascono dei battibecchi molto divertenti.

Molti lettori americani, amanti delle dinamiche classiche dei supereroi, lamentano la mancanza di scazzottate, che sono in effetti meno che altrove. In realtà, David Walker ha spiegato che le mazzate arrivano adesso, dal decimo numero in poi, cambiando registro. Proprio quando io lascerò la serie.

Tra l’altro, la serietà di Luke Cage di cui parli, è legata al fatto che ora sia un padre di famiglia, ruolo in cui tu ti ritrovi perfettamente…

Sì. Infatti più avanti nella serie c’è un momento in cui cerca di non far vedere alla figlia la televisione, perché ci sono delle immagini che vorrebbe evitarle. Ai lettori americani è piaciuto un sacco il modo in cui ho rappresentato quel momento, sono arrivati parecchi complimenti su quella cosa in particolare, da Twitter e dalla rete in generale, probabilmente anche grazie al fatto che mi ci ritrovo molto, avendo una figlia piccola.

A proposito di complimenti, oltre che dal pubblico, sappiamo che ne hai ricevuti pubblicamente anche da Sanford Greene, disegnatore regolare della serie, che ha parlato anche delle somiglianze tra i vostri stili e delle vostre sensibilità di artisti. Una bella soddisfazione, immagino.

La storia della carriera di Sanford Greene, tra l’altro, è un po’ particolare, perché lui arriva dall’animazione come me. All’inizio aveva uno stile molto, molto pulito e dalla linea precisissima, mentre poi ha deciso di cambiare, di concentrarsi molto più sulla narrazione e sulla regia. In realtà, lui è bravissimo e ha uno stile molto forte, quindi la bellezza dei disegni si conserva, anche se non ci si sofferma più di tanto. Combinazione, è un po’ lo stesso passaggio che è capitato a me negli ultimi tempi, in cui sono passato dal digitale al cartaceo.

Da buon animatore degli anni Duemila.

Esatto. Sulla carta, la cosa bella è che l’errore rimane. C’è modo sempre di correggere e tornare indietro, ma io trovo che abbia poco senso. Quindi ho deciso di lasciare gli errori, di trovare soluzioni diverse per renderlo parte del disegno. Trovo sia una cosa bella, che poi ricordi anche quando torni a vedere le tue tavole in un secondo momento.

Inoltre, Sanford Greene lavora solo con il pennello, come ho iniziato a fare anche io. In questo senso siamo quindi molto simili come tratto. Tanto che, gli ultimi due numeri, nella maggior parte delle recensioni americane, sono attribuiti a lui, anche se li ho disegnati io. Evidentemente i recensori non si sono soffermati a leggere i credits e hanno pensato che fosse Greene alle matite. In diversi casi elogiano le due doppie splash, fanno un sacco di complimenti a lui. E invece le ho fatte io.

Be’, direi che si tratta di un doppio complimento, allora. Peccato per questa paternità fraintesa. Invece, in termini di professionalità, come ti sei trovato alla Marvel? C’è davvero una cura particolare dell’autore? Che differenze hai notato?

Da un’esperienza così breve non so ancora trarre delle conclusioni. Una cosa che certamente posso dirti è che, rispetto a quello che succede da noi, o anche in Francia, cambia molto il ruolo dell’editor, che da loro sono molto più motivatori. Nelle mail, ti spronano, ti comunicano sempre molto entusiasmo, ti spingono a migliorarti e dare di più. Difficilmente entrano nel merito delle tavole e del tuo lavoro o ti chiedono di correggere cose che non gli piacciano. Si ha molta più carta bianca e c’è più indipendenza nelle scelte. In cinque numeri, non ho mai ricevuto correzioni, anche se certamente non erano perfetti.

Sono più dei coordinatori degli sforzi comuni, insomma, che cercano di fare in modo che si giunga all’obiettivo comune al meglio possibile.

Esatto. E trovo che sia il miglior modo di lavorare, perché degli errori, con il tempo, ci si accorge da soli e siamo noi disegnatori a eliminarli in autonomia. D’altro canto, però, il nostro è un lavoro che si svolge quasi sempre a casa, da soli, ed è quindi molto facile che si perda motivazione e concentrazione. Avere una persona che ogni giorno ti dice che la roba che gli hai mandato è fichissima, per noi è fondamentale.

Un’altra differenza è che, nonostante si lavori molto a ridosso dell’uscita è difficile che ti mettano pressione sul risultato. Una volta che ti hanno scelto, insomma, tengono dritta la barra e ti concedono davvero grande fiducia. E non ti chiedono mai di aggiornare in qualche modo il tuo stile, motivo per cui in Marvel, attualmente, si vedono artisti anche molto, molto diversi, con influenze che vanno dagli anime all’underground.

La tendenza è quella ed è ben visibile la commistione di stili alla Casa delle Idee in questi ultimi due anni. Per tornare di qua dall’Atlantico, invece, ci racconti di cosa ti stai occupando?

Sto finendo un Dylan Dog, su cui non posso però dire assolutamente nulla. Per il resto non ho progetti in ballo, perché mi sono preso una pausa dai lavori italiani proprio per dedicarmi all’impegno su Power Man and Iron Fist con regolarità. Comunque ci sono delle questioni in ballo e poi tornerò a lavorare negli Stati Uniti.

Per fare cosa? Si può già sapere?

In realtà non si sa proprio. Si tratta di decisioni che vengono prese un po’ giorno per giorno. Loro si organizzano così, un passo alla volta. Pensa che sono stato accreditato su due albi a cui poi in effetti non ho mai lavorato, perché loro prevedevano di darli a me, ma poi hanno cambiato idea: un numero di Guardians of Infinity, che era la prima serie su cui mi avevano messo, e Moon Girl and Devil Dinosaur il mese dopo.

Alla luce di questa esperienza, pensi di aver trovato di là la tua vera dimensione di artista o di rimanere a metà fra America ed Europa?

Tieni conto che io mi sono appassionato di fumetti da ragazzino con la scoperta degli eroi Marvel. La prima cosa che ho comprato credo fosse un numero dei Vendicatori della Costa Ovest, una serie sfigatissima, nel periodo di Scarlet con i figli inesistenti, i costumoni esageratissimi, vecchio stile, con le maschere enormi. Quindi il sogno di lavorare in quel mondo è sempre stato in testa a tutti. Poi ho scoperto altre cose molto interessanti, come l’animazione e il mondo del fumetto francese, che mi interesserebbe tornare a frequentare, anche se lavorare in Francia non è sempre semplicissimo.

Non sei il primo a cui lo sentiamo dire.

Sì, diciamo che c’è un controllo quasi ossessivo da parte degli editor e, a volte si creano delle dinamiche complicate. Ma è anche un mondo molto affascinante. Devo dire, però, che lavorare in America è molto più semplice, sotto parecchi punti di vista, ma anche più divertente. Quindi, potendo, spero tanto di lavorare in maniera continuativa in quel contesto.

Una cosa che, però, sento come il punto di arrivo della mia carriera – dopodiché posso anche smettere tutto e andare a fare il giardiniere – è tornare a lavorare come autore completo, come ai tempi di Come Vuoto, la mia serie web per Coreingrapho.

E noi te lo auguriamo di cuore, Flaviano. In bocca al lupo!

 

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