Dopo Paola Barbato, per i 30 Anni di Dylan Dog, abbiamo raggiunto un altro storico autore dell’Indagatore dell’Incubo: Luigi Mignacco. Sua è la sceneggiatura – su soggetto di Tiziano Sclavi – di Fra la vita e la morte, albo numero 14 della serie regolare disegnato da Luigi Piccatto (datato 11 novembre 1987). Lo abbiamo intervistato in occasione di Rapalloonia 2016 e qui sotto potete leggere la nostra intensa chiacchierata. Buona lettura!

 

Ciao, Luigi! È con grande piacere che ti diamo il benvenuto su BadComics.it. Cominciamo dal tuo arrivo su Dylan Dog: come sei stato coinvolto nel progetto? Avevi già letto i primi albi della serie?

Dylan Dog 14: Fra la vita e la morteGrazie a voi per l’ospitalità. Il mio arrivo a Dylan Dog si può dire che sia stato pazzesco, perché entrai in Sergio Bonelli Editore nel 1986, dopo avervi preso contatto l’anno precedente. Mi ero presentato come sceneggiatore di Mister No, che era il mio personaggio preferito. Non ero alle prime armi, avevo già collaborato con la Lancio, con la Mondadori tramite Gianni Bono, su Topolino, avevo già fatto qualcosa anche per Il Giornalino e un fumetto – il primo firmato con il mio nome – per Orient Express, rivista targata Edizioni L’Isola Trovata, ma sempre pubblicata da Sergio Bonelli.

Sono andato avanti per mesi a proporre soggetti per Mister No, fino a quando Sergio decise di affidare a me, un venticinquenne, una storia fondamentale per la serie, dove si raccontavano le origini del personaggio e dove si spiegava come Jerry Drake acquista il soprannome di Mister No. Mi misi ovviamente subito al lavoro, quasi incredulo. Era il 1986 e redattore unico in via Buonarroti 38 era Tiziano Sclavi, a cui spedivo la mia sceneggiatura per posta: 30 o 40 pagine per volta, scritte a macchina. Mi sembra di parlare del Medioevo [Ride].

La storia gli piacque subito, ricordo che non fece grossi cambiamenti o correzioni. Mi fece i complimenti di persona quando ci incontrammo – mi pare nel settembre del 1986 – e mi mise in mano il primo albo di Dylan Dog. Ho sempre ammirato Tiziano, lo conoscevo come autore fin dai tempi del Corriere dei Ragazzi, e aspettavo con ansia di leggere il suo nuovo fumetto. Lo lessi per ben due volte tornando da Milano in treno verso casa mia e rimasi stupefatto: era qualcosa di mai visto, di profondamente innovativo, come Watchmen o Il Ritorno del Cavaliere Oscuro, per capirci.

Un mese dopo l’uscita di L’alba dei morti viventi, mi telefonò, mi chiese se lo avessi letto e se mi era piaciuto. Quindi mi propose un suo soggetto da sceneggiare, ma chiedendomi prima se avessi avuto di recente un intervento chirurgico con anestesia totale. Gli risposi di sì. Meno male che mi ero rotto una gamba l’anno precedente! [Ride]. “Hai avuto paura dell’anestesia?”, mi chiese, “andare sotto anestesia è quasi come morire, tutti dovrebbero averne paura”. Ci riflettei tutto il giorno seguente, rivivendo l’intera esperienza in prossimità dell’operazione. Quei ricordi entrarono a far parte del mio primo episodio di Dylan Dog, Fra la vita e la morte. Anche se il soggetto era di un altro, era suo, Tiziano mi aveva insegnato come farlo mio.

Quindi da quel momento sei entrato a far parte del team creativo di Dylan Dog?

Dylan Dog 24: I conigli rosa uccidonoSì, ma continuai ancora per un po’ su Mister No e feci anche più numeri di Martin Mystère. Dylan Dog tuttavia, stava raccogliendo il nuovo pubblico che si era prefissato come scopo fin dall’inizio, anche se nessuno immaginava un successo così vasto.

Si puntava a un pubblico più giovane di quello di Tex, Zagor e Martin Mystère, ma si stava raccogliendo consenso in ogni generazione. Certo, la risposta dei giovani fu enorme, ma la mente di Tiziano era vulcanica e contagiosa.

Penso a I conigli rosa uccidono, di cui ho firmato soggetto e sceneggiatura. Non sapevo per nulla, quando la scrissi, di Chi ha incastrato Roger Rabbit?, che uscì proprio lo stesso anno di quel Dylan Dog.

Era una cosa davvero originale, un coniglio che uccide, e io e Robert Zemeckis avemmo la stessa idea allo stesso momento [sorride]. Canzio me la bocciò, mentre Sclavi me l’approvò sotto banco.

Tu sei stato tra i primi, forse il primo autore, a parte Sclavi, a scrivere un Dylan Dog?

No, in realtà Giuseppe Ferrandino mi precedette di un mese con Vivono tra noi. Non so chi contattò per primo Tiziano, ma andò così. Beppe aveva lavorato sul Lancio Story e Orient Express, come e più di me. Lui era veramente un autore molto bravo, con tante idee da raccontare. Aveva fatto anche una bella carriera in Francia prima di diventare famoso come romanziere. Forse era meno sintonizzato di me sul mondo bonelliano. Non molto tempo dopo sarebbe arrivato Claudio Chiaverotti, probabilmente quello fra noi più vicino al mondo di Tiziano. Tiziano ha una personalità molto sfaccettata, ma Claudio sapeva coglierne un ampio spettro.

Se ci sono mai state, quali sono le difficoltà che hai incontrato a entrare nella realtà del personaggio?

Io mi sono sentito subito in sintonia con questo nuovo fumetto, con questo linguaggio cinematografico, molto visivo e con questa ambientazione che non era soltanto Horror, ma era anche immaginazione, autobiografia, humour e tanto altro.

Tre aggettivi per definire Dylan Dog?

Se penso al fumetto direi “innovativo”, “introspettivo” e “inossidabile”, rispetto al suo personaggio che è molto fragile. Il fumetto infatti è rimasto giovane, sono passati trent’anni, ma ancora adesso Dylan Dog si presta a contenuti attuali e per i giovani. Se devo definire il personaggio, è più difficile. Il mio Dylan è coraggioso, nel senso che non ha paura di esternare le proprie debolezze. Poi direi imprevedibile, perché io lo identifico molto con il suo creatore, e Tiziano è imprevedibile. Infine direi controcorrente, perché Dylan è un outsider: sembra vivere fuori dal suo tempo e invece è sempre in contatto con tutto, pronto ad ascoltare e capire tutti. Questa è la dote di una figura di successo, a mio parere, a lui che del successo non importa niente.

Cos’è che Dylan non farebbe mai?

Le cose che non farebbe mai sono tante. È una sua peculiarità. Gli eroi di solito sanno fare un sacco di cose. Lui è caratterizzato dal fatto che non è in grado di fare tante cose che anche la cosiddetta gente normale sa fare. Ha tante paure, idiosincrasie. Non fuma, non beve, non mangia carne, si veste sempre allo stesso modo e sembra molto affezionato ai suoi limiti. Eppure, quand’è il momento, è pronto superare quei limiti. Ha paura di tante cose, ma non ha paura di aver paura. Non è un supereroe, è un antieroe.

Se Dylan Dog non fosse un fumetto, cosa sarebbe?

Secondo me Dylan Dog è molto fumetto, il suo è un linguaggio tipico del fumetto. Però la domanda è originale. Potrebbe essere Letteratura, potrebbe essere Poesia, potrebbe essere Arte, potrebbe essere Musica, potrebbe essere Radio. I temi che affronta sono presenti in tutti questi linguaggi, ma Dylan Dog è per me soprattutto fumetto perché è stato capace intercettare e fondere tutti questi linguaggi.

Quale storia non tua ricordi in modo speciale e perché?

Sono tante, non solo quelle di Tiziano. La mia preferita è probabilmente I vampiri, scritta da Sclavi e disegnata da Carlo Ambrosini. Mi vengono in mente comunque tante belle storie di Chiaverotti, della Barbato, di Recchioni. La prima tuttavia che mi viene mente è quella, non so perché.

Quale storia tua ricordi in modo speciale e perché?

Anche in questo caso è una scelta difficile. Però rifacendomi a quello che ho detto in Dylan Dog Diary, il volume che uscirà a Lucca e che raccoglie le testimonianze anno per anno di un autore diverso attraverso una propria storia, direi L’uomo nero, del 2002. È una storia a cui sono particolarmente affezionato, disegnata benissimo da Piero Dall’Agnol.

C’è un comprimario della serie a cui vorresti dare più spazio?

A me è molto simpatico Jenkins. Perché mi piacciono le gag comiche e questo humour che è semplice solo apparentemente. Jenkins è un personaggio tutt’altro che semplice, perché non è stupido come sembra, pur essendolo veramente.

Come giudichi il rilancio del personaggio e del franchise guidato da Roberto Recchioni?

Dylan Dog 345: Gli spiriti custodiMi sembra un’ottima cosa. Sia gli autori che i lettori si stavano adagiando su consuetudini, su abitudini. Dylan Dog deve essere sempre nuovo, deve dire sempre cose nuove, rispettando una serialità basata più sulla ripetizione che sulla continuity.

Da un lato è psicologicamente molto vero, racconta emozioni e sensazioni molto vere, dall’altro è molto fumetto, è uno che si veste sempre uguale, che si innamora sempre perdutamente di una donna diversa e via dicendo. Introdurre personaggi nuovi, rafforzare la continuity, ha rinfrescato il personaggio mantenendolo allo stesso tempo ciò che era. Carpenter, Rania e lo stesso John Ghost sono personaggi molto interessanti e versatili.

Mi piace molto anche l’idea delle tante dimensioni parallele del protagonista, da quella classica dell’Old Boy al Pianeta dei Morti di Alessandro Bilotta. La cosa più positiva di questo nuovo corso è proprio che ogni autore si senta motivato a poter raccontare quello che sente veramente. Viva il nuovo corso, chissà dove ci porterà!

Se potessi ringraziare Dylan di persona per ciò che rappresenta per te, cosa gli diresti?

Sarei un po’ in imbarazzo nel dirgli un grazie direttamente, perché lui potrebbe prenderla anche come una ruffianata. È sempre difficile dire grazie a qualcuno e trovare il momento per dirglielo. Più che dirglielo, cercherei di dimostrarglielo. Lui è un timido, non è un tipo che ama essere gratificato, ma se lo merita tanto. Ringraziare e ricevere ringraziamenti è una cosa che fa bene in entrambi i casi. Se Dylan fosse in ascolto in questo momento, gli direi: “Grazie Dylan, per come sei e per aver fatto capire a noi come siamo”. Ma mi piacerebbe che questa cosa gli arrivasse indirettamente, per non imbarazzarlo.

E, visto che è il suo compleanno, che auguri vorresti fare a Dylan? Qui non c’è motivo di imbarazzarlo, vero?

Certo che no. Lui ha trent’anni, li ha sempre avuti e non li dimostra. Per cui gli direi: “Caro Dylan sei un magnifico trentenne, li porti molto bene e continuerai a portarli almeno per i prossimi trent’anni”. Perché la caratteristica di Dylan Dog è quella di essere un Peter Pan positivo: lui non invecchia, siamo noi a farlo, ma per fortuna ci sono le nuove generazioni che lo scoprono e continuano a scoprirlo.

 

SPECIALE 30 ANNI DI DYLAN DOG: