Ieri pomeriggio Humberto Ramos ha incontrato il pubblico di Lucca Comics & Games 2016 per una chiacchierata con i fan. L’autore ha iniziato la sua carriera muovendo i primi passi nel fumetto indipendente, diventando poi un disegnatore di punta della Marvel.

 

Sappiamo che il tuo personaggio preferito è Spider-Man: cosa ti lega tanto a lui e cos’è significato per te poterlo disegnare?

Spider-Man RamosIn Messico, come voi in Italia, abbiamo l’opportunità di leggere i fumetti tradotti nella nostra lingua, ovvero in spagnolo. Quando ero giovane mi sono affezionato a Spider-Man perché è un ragazzo giovane che ha i problemi che hanno tutti. Mi ci riconoscevo e mi ci sono affezionato, anche grazie alla serie animata.

Quando ho iniziato a disegnare, mi sono reso conto di non essere poi così male e con il tempo ho compreso gradualmente che questo non era più soltanto un hobby, ma una maniera di esprimermi liberamente. Durante il liceo ho scoperto dove venivano stampati i volumi di Spider-Man in Messico, ed ero convinto che le storie venissero realizzate proprio lì. Ovviamente mi hanno preso in giro!

Solo in seguito ho conosciuto gente che lavorava nel settore che mi ha parlato di quel paradiso chiamato San Diego. Quando ho finito di studiare graphic design al college, mi volevo trovare un lavoro in un contesto professionale diverso, perciò ho tentato la carriera di fumettista. Mio padre non era molto entusiasta della cosa, avrebbe preferito che scegliessi un lavoro “serio”, invece di disegnare faccette buffe: temeva che sarei morto di fame! Fortunatamente non è andata così.

Giunto a San Diego ho fatto il mio primo colloquio con Tom Brevoort – che ora è il mio capo – ma non non andò molto bene: non mi affidò un lavoro, ma mi disse che se avessi lavorato duramente, forse avrebbero preso in considerazione la cosa e avrei potuto lavorare per loro in futuro. L’anno successivo sono tornato a San Diego e sono stato assunto, ma non dalla Marvel, che allora era ancora un traguardo ancora molto distante per me. Il mio sogno era disegnare Spider-Man e ci sono voluti 15 anni per riuscirci.

Hai un tratto unico e riconoscibile che mescola influenze di qualsiasi genere. Forse ti risulterà complesso fare un elenco, ma quali sono gli artisti che più ti hanno ispirato e sui quali hai formato il tuo stile?

È una lista lunga, perché sento di essere stato ispirato da moltissimi nomi nel settore, ma la mia prima grande influenza è stata Art Adams. Poi, nei primi anni ’90, i due nomi che sovrastavano chiunque erano Jim Lee e Todd McFarlane, perciò ho lavorato duro per disegnare come Jim Lee… ma non è andata benissimo. Lo stile di Art Adams è più divertente, più espressivo, più cartoonesco, perciò ho seguito quella direzione.

In seguito mi hanno ispirato Joe Madureira, J. Scott Campbell, Jason Pearson, Carlos Meglia (nei suoi lavori più maturi), Massimiliano Frezzato, Horacio Altuna, Olivier Coipel, Stuart Immonen, Sean Murphy… Sara Pichelli! Mentre disegno prendo spunto da tutti questi disegnatori e mantengo la mente aperta, perciò ora la lista è davvero lunghissima. Ogni artista talentuoso mi influenza. Sì, anche i giovani: non mi importa da quanto tempo lavorino nel mondo del fumetto, quello che conta è il talento

Dopo aver disegnato per anni Spider-Man con Dan Slott – la serie di un perdente che agisce in solitaria – ti sei ritrovato a lavorare a una testata di gruppo, Extraordinary X-Men: quanto è stato difficile adattarsi a questa nuova struttura e quali sono state le sfide principali?

È dura perché in ogni singola tavola devi disegnare un sacco di personaggi. Solitamente ci vogliono tre o quattro numeri per capire l’essenza di ogni singolo elemento, per renderlo al meglio, quindi per una serie di gruppo c’è voluto ancor di più!

Non volevo disegnare personaggi con le stesse forme: è facile cadere in questo tranello, in questo lavoro, quindi mi sono sforzato di distinguerli il più possibile così da dare a ognuno una peculiarità. E quando hai finalmente capito come fare, devi lasciare la testata!

Oggi c’è un grosso movimento verso il fumetto indipendente: quanto sei attirato da questa nuova fase? Hai in mente qualche storia extra-supereroistica che vorresti raccontare?

Ho diverse storie che vorrei raccontare. Alcune le sto ancora concependo, altre sono già più definite. L’unico problema, se posso chiamarlo problema, è che lavorare per la Marvel è molto impegnativo, dunque non ho tanto tempo per i miei progetti. Il contratto con loro durerà fino al 2019 e il mio desiderio è di proseguire, ma se non mi volessero più tornerei a occuparmi delle mie cose, ne sarei ugualmente felice.

Sto lavorando a molti soggetti differenti: draghi, disastri ecologici, teorie cospirazioniste globali, ragazzi che affrontano mostri nell’oscurità… spero vi interessino questi temi perché è la roba su cui sto lavorando!

Che differenza hai trovato nel lavorare con Dan Slott su Amazing Spider-Man dopo aver disegnato Spectacular Spider-Man di Paul Jenkins?

Paul e io abbiamo collaborato su Spectacular Spider-Man e ritengo che abbiamo realizzato la storia definitiva con Goblin. Dan, invece, è una specie di Wikipedia vivente di Spider-Man: conosce ogni singolo elemento del suo universo narrativo… una cosa malata! Lavorare con lui sulla testata principale è fantastico.

Out There è finito definitivamente? Se tornerai a lavorare a opere tue, ci sono possibilità che prosegua?

Out ThereSia Crimson che Out There avrebbero potuto continuare. Sfortunatamente le cose “dietro le quinte” non sono andate come dovevano andare. Abbiamo deciso, come team, che la decisione migliore fosse chiudere nel migliore dei modi, cioè lasciando le cose in modo che le persone non si chiedessero come la vicenda sarebbe continuata. Ho provato a fare lo stesso con Fairy Quest, ma non ci sono riuscito, mi spiace.

Ora però le cose sono cambiate parecchio da quegli anni, siamo praticamente in un altro universo e forse qualcosa accadrà… Quello che posso dirti è che ne abbiamo parlato con i BOOM! Studios, visto che deteniamo i diritti della serie.

Quali sono le differenze sostanziali quando lavori ai tuoi progetti personali, rispetto a ciò che fai per la Marvel?

Mi viene difficile inventare un universo da zero, perché non sono uno scrittore. Quando ho creato un progetto, ho provato a realizzare un fumetto che mi sarebbe piaciuto leggere, e spero sia stata una bella lettura anche per i fan. È per questo che se andate a vedere le mie cose non ci troverete supereroi: perché li posso già leggere. Mi piacciono, ma esistono già, preferisco realizzare qualcosa che non ci sia ancora e potrebbe piacere al pubblico.

Cosa vorresti dire, come incoraggiamento, ai ragazzi che intendono intraprendere una carriera fumettistica?

La maggior parte degli autori vi dirà la stessa cosa: “Lavorate duro, prendete lezioni, studiate anatomia e storytelling, osservate immagini di riferimento, bla bla bla…”. Dal mio punto di vista posso dirvi che il fumetto è una vocazione: a chiunque piace disegnare, ma non tutti sanno farlo bene. Alcuni di quelli che ci riescono non vogliono farlo come lavoro, perché significherebbe stare dieci o dodici ore al giorno seduti al tavolo, dal lunedì alla domenica.

Devi essere sicuro che sia ciò che vuoi fare nella vita. Io sono un ragazzo messicano che ha trovato un modo per volare fino a Lucca e parlarvi della sua carriera. Adoro fare quello che faccio. Non ho iniziato a disegnare con l’obiettivo di diventare famoso o girare per il mondo, ma perché è la mia passione. Mi sveglio alle 6:30 ogni giorno e non vedo l’ora di disegnare una nuova tavola. Se succede anche a te, allora è il mestiere che ami.