Con Matteo De Longis e Daniele Caluri, il terzo disegnatore premiato a Rapalloonia 2016 è stato Gigi Cavenago. Ovviamente non abbiamo perso l’occasione di scambiare quattro chiacchiere con lui, soprattutto dopo l’exploit con Mater Dolorosa, l’ultimo numero di Dylan Dog scritto da Roberto Recchioni.

Questo straordinario artista ci ha raccontato cosa significano per lui i 30 anni del personaggio creato da Tiziano Sclavi e molto altro ancora, omaggiando i lettori di BadComics.it con la sua personale interpretazione dell’Old Boy.

 

Ciao, Gigi, complimenti per il Premio U Giancu e benvenuto su BadComics.it.
Il tuo albo ha dato ufficialmente il via ai festeggiamenti per i trent’anni di Dylan Dog. Nonostante la tua giovane età lavori in questo ambiente come professionista da oltre 10 anni. Come hai conosciuto Dylan Dog, da lettore o da autore?

Gigi CavenagoCome lettore. Ricordo ancora il primo numero che ho letto, Lontano dalla luce del luglio 1993, di Claudio Chiaverotti. Avevo poco più di dieci anni. Non era proprio una lettura adatta per quell’età. Lo lessi un po’ di nascosto, a dire il vero. Me lo aveva passato un amico un po’ più grande di me. Leggevo fumetti, ma per me i fumetti erano cose come Asterix o Il Giornalino. Quando sfogliai quelle pagine mi si spalancò un mondo davanti agli occhi. Parlava di omicidi, di mostri, ma che per questi ultimi mostrava una certa pietà. Era molto rappresentativo di alcune caratteristiche fondamentali di Dylan Dog, col senno di poi fu un ottimo numero per iniziare la serie. Provai un’emozione molto forte e ne fui anche spaventato, tant’è che lo abbandonai per alcuni anni.

Lo ripresi più tardi, in piena adolescenza, quando seguivo con interesse altre icone della Sergio Bonelli, come Tex e Nathan Never. Lo ritrovai così come l’avevo lasciato. Adoro l’horror e Dylan Dog riesce a raccontarne, a catalizzarne, tutte le sfaccettature del genere.

Quale storia ricordi in modo speciale e perché?

Dylan Dog 361: Mater Dolorosa, anteprima 01Sicuramente quella che ho citato, scritta da Chiaverotti e disegnata da Pietro Dall’Agnol, che è diventato uno dei miei disegnatori preferiti, in assoluto. In Lontano dalla luce c’è dentro di tutto, violenza, tristezza, cinismo e un senso di “pietas”. Dopo quella ho letto di tutto e ti citerei tutte le pietre miliari, come Memorie dall’Invisibile, Johnny Freak e Il lungo addio.

C’è stato poi, come definirlo, un rinascimento della serie, quando Sclavi ha optato per una sfumatura più surreale, a volte da commedia brillante. Ricordo che Tre per zero mi divertii tantissimo. I disegni di Bruno Brindisi recitano le scene in maniera magistrale; la regia di Tiziano Sclavi è straordinaria con trovate notevoli, battute brillanti e un tocco di poesia. Era una delle prime serie che compravo con soldi miei e aspettavo ogni albo con trepidazione.

Mi viene anche in mente Il volo dello struzzo, illustrato da Giovanni Freghieri, un fumetto quasi on the road, con tanti scambi di battute sulla vita, intrise di esistenzialismo, tipiche di Sclavi e in cui il lettore non può fare a meno di ritrovarsi.

Se volessi usare tre aggettivi per definire Dylan Dog, quali sceglieresti?

“Impreparato”. Quando me lo avevano raccontato, prima che lo leggessi, mi dissero che il protagonista combatteva i mostri. Ma quando lo lessi, al contrario di quanto avevo immaginato, non aveva armi adatte a farlo, non aveva pallottole d’argento o crocefissi, non conosceva o recitava testi esoterici, non aveva la cultura dell’Occulto.

Poi direi “adolescenziale”, perché è genuino, vive nel presente, non fa piani per il futuro. Si innamora continuamente come un ragazzo e pensa che durerà in eterno.

Infine oserei un “romantico”, perché c’è una certa deriva romantica, anche se alcuni autori non la condividono. A me piace il Dylan che vaga per i cimiteri ponendosi domande sulla vita e l’esistenza, magari con qualche foglia autunnale che gli svolazza attorno.

Se Dylan Dog non fosse un fumetto, sarebbe…?

Dylan Dog è sempre stato il punto d’incontro fortunato di letteratura, cinema, musica… Non riesco a pensare a Dylan Dog se non a un fumetto, o al massimo a un racconto scritto. Quel che è certo è che non vedrei di buon occhio una sua trasposizione cinematografica (non so se a causa della delusione della prova americana), perché non basterebbe un film, o anche più di uno, per rendergli giustizia, per trasmetterne l’essenza. Vedrei bene delle storie brevi o un romanzo. Lo si è fatto per Tex; per Dylan potrebbe essere un’idea.

Con quale personaggio, soggetto, atmosfera, ti trovi più a tuo agio e ti piace disegnare?

Mi piacciono molto le atmosfere oniriche e in generale quelle suggestive come ad esempio le ambientazioni gotiche, dove l’immagine possa parlare e possa divertirmi a disegnarla. Penso a castelli diroccati, case abbandonate, ambienti lontani dalla quotidianità e dalla metropoli. È vero anche che Dylan si muove in una quotidianità sempre più concreta, ma qualche capatina nell’horror più classico la fa sempre.

Come cerchi l’ispirazione quando ti approcci a disegnare una scena? Hai dei riti preparatori che compi usualmente?

Maxi Dylan Dog - Old Boy 2No, nessun rito. Scorro la sceneggiatura e cerco di buttar giù su un foglio le idee che mi ha suggerito la prima lettura. Poi vado a rivederla meglio e aggiungo, o correggo, se avevo interpretato male la scena. Per Mater Dolorosa non c’è stata una vera e propria preparazione. Mi sono affidato all’istinto. Non c’era un “prima”, solo un “durante”.

Per calarmi nella scena, soprattutto per Dylan, è confortevole un certo tipo di ambiente; più che la musica preferisco mettere su un film, non necessariamente Horror. Per trovare l’ispirazione, mi aiuto molto con il web e con fotografie. Se devo disegnare un obitorio, spendo una buona parte della giornata per capire com’è fatto un obitorio e se ce ne sono di vari tipi anche secondo l’epoca storica. Puoi trovare un sacco di spunti e decidere cosa e meglio per te in quella vignetta.

A volte eccedo e poi rinuncio, quando si tratta di temi macabri e raccapriccianti. In Mater Dolorosa c’è una scena in cui Mater Morbi e il piccolo Dylan navigano nei Sette Mari della Sofferenza e bisognava rappresentarvi figure contorte, deformate da vari tipi di malattie. Allora mi son detto: “Facciamo un giretto su Google” e ho cominciato con cose “leggere”, tipo malattie della pelle. Mi sono arreso subito e ho deciso che avrei fatto qualcosa di spaventoso ma tenendomi alla larga dalla realtà.

Dylan Dog: Mater Dolorosa, di Gigi CavenagoPerò, se vuoi, anche lo shock derivato da certe immagini mi è servito per trovare la chiave giusta per affrontare il soggetto, nel senso che invece di trovare cosa disegnare, ho trovato cosa non disegnare.

In una copertina dell’Old Boy, quella dell’obitorio che ho citato prima, dovevano finirci dei cadaveri, ma visti di spalle, doveva essere chiaro che fossero dei morti. Ho pensato di risolvere la cosa mostrando crani spaccati e materia cerebrale. Non appena ho visto immagini reali su internet, ho subito cambiato idea; o meglio, ho cercato di stilizzare molto, disegnando le teste dei morti come fossero cocci di creta, qualcosa di lontano dalla realtà di un vero cranio spaccato. Nonostante questo, qualcuno mi ha scritto in privato che avevo realizzato un immagine troppo forte, splatter. E io che ho fatto di tutto per essere soft. [ride]

Che consiglio daresti a un giovane disegnatore che si avvicina per la prima volta a Dylan?

Gli direi di studiarsi bene il bianco e nero. È vero che a me è capitato il colore, ma le serie è molto efficace in bianco e nero, e bisogna saper giocare con luci e ombre. Se invece dovesse trattarsi di una storia più leggera, a livello di commedia, punterei tutto sulla recitazione, sul linguaggio del corpo e starei molto attento alla regia o alle indicazioni specifiche dello sceneggiatore.

Cosa significa per te disegnare Dylan Dog?

Caspita! Sembra una risposta banale ma è il coronamento di un sogno e adesso anche una responsabilità enorme. Ho avuto la fortuna di esordire con le copertine dell’Old Boy e poi con un numero importante come Mater Dolorosa. Non mi sono avvicinato al personaggio in modo graduale, mi sono trovato subito a dover dare il massimo. Per cui, per esempio, non ho ancora un volto di Dylan che senta veramente mio. Perché nelle cover è un discorso a se stante, mentre in Mater Dolorosa mi è capitato di doverlo rappresentare da piccolo e da adulto, ma da adulto malato, magrissimo con il volto emaciato. Diciamo che ancora devo affrontare il Dylan canonico, classico.

In Bonelli, prima con Orfani, poi con Dylan Dog hai sempre lavorato con il colore. Vorresti cimentarti prima o poi con il bianco e nero, magari proprio per l’Indagatore dell’Incubo?

Non lo so. Visto che la mia resa del colore è piaciuta molto, ho la sensazione che mi verranno chieste sempre cose a colori. [sorride] E pensare che negli anni pre-Bonelli mi ero preparato tanto proprio sul bianco e nero, ma, come ti succede a un esame, invece di chiederti quell’argomento che sai bene, te ne chiedono un altro. [ride].

Io ho nostalgia del bianco e nero. È una tecnica elegante, con potenzialità pazzesche. E Dylan Dog è nato in bianco e nero. Il colore, tuttavia, ha una forza emotiva più diretta, immediata e ti offre l’occasione di sperimentare sempre. Non lo so, mi sento un po’ in bilico tra le due cose, ma in qualunque modo mi chiederanno di disegnare Dylan Dog lo farò con immenso piacere.

Dylan Dog compie 30 anni. Qual è il tuo personale augurio che vorresti rivolgergli?

Troppo facile e troppo poco “cento di questi giorni”. Gli auguro “cento di questi trent’anni”.

Chiudiamo con i tuoi progetti per il futuro: ti vedremo ancora su Orfani? Puoi svelarci qualcosa?

Su Orfani non credo, anche perché sono stato coinvolto su un’altra cosa, ma non ne posso parlare ancora, almeno fino a Lucca.

Rapallonia 2016, disegno di Gigi Cavenago