Un’intervista su un fumetto molto particolare ci parla di Black Panther. Un po’ perché Ta-Nehisi Coates, scrittore, saggista e giornalista pluripremiato, non è uno sceneggiatore come gli altri, un po’ perché le domande che gli vengono rivolte giungono dal Wall Street Journal, non esattamente una testata dove ci si aspetterebbe di trovare Pantera Nera e il Wakanda sotto i riflettori. Ma la serie Marvel più coraggiosa del momento attira attenzioni disparate, con successo, per la qualità della sua narrazione e la natura del suo autore.

 

01. Black Panther #1, di Ta-Nehisi Coates e Brian Stelfreeze, copertina di Brian Stelfreeze - MarvelNon siate stupiti dalla presenza della politica sulle pagine di un fumetto di supereroi. Le due cose non sono mai state in contraddizione. Credo che X-Men, ad esempio, sia stato a lungo un fumetto politico e che la Marvel abbia una lunga storia di impegno in questo campo. Capitan America è la quintessenza di una storia politica e, se guardate a Civil War II, si parla di profiling, sostanzialmente.

Black Panther è, semmai, concentrato sulle questioni di governo, che appare un concetto molto asciutto e noioso, molto più di quanto non lo siano di solito i fumetti di supereroi. E questo, perché Pantera Nera è un re, un monarca, il che segna una differenza enorme e importante tra lui e ogni altro eroe in costume.

Dividermi tra i miei impegni di scrittura classici e quelli di fumettista porta via molto tempo, ma del resto sono abituato a non averne molto per me. Il segreto è non avere una gran vita sociale. Ho una famiglia, alcuni amici stretti, ma sono uno che va a letto alle undici di sera, alla peggio. Ieri mi sono coricato a mezzanotte. Follia! Comunque non ho grandi distrazioni e scrivere è quel che sono, quel che faccio.

 

Per un pubblico di profani, Coates ha quindi presentato, come in tanti articoli che vi abbiamo proposto, la fatica di imparare a narrare per immagini, la gioia di scrivere fumetti come sognava sin da bambino e l’importanza del disegnatore, Brian Stelfreeze, come mentore in questo campo, ora sostituito da Chris Sprouse per quattro numeri. I due si alterneranno alle matite finché possibile e Coates ha solo parole di lode per entrambi.

 

Black Panther #4, copertina di Brian StelfreezeRispetto a quando ero un ragazzino, da lettore di fumetti, ho notato un grande cambiamento nel pubblico, dovuto alla rete. All’epoca, io non avevo idea di quali serie vendessero di più o di meno, ero solo interessato alle cose che mi incuriosivano. Ora, invece, ogni più piccola notizia e nozione sul mondo del fumetto raggiunge i lettori e il dibattito è continuo.

All’epoca era tutto molto più semplice e immediato. A mio modo di vedere, veniva lasciato a noi fruitori delle storie molta più libertà di sperimentare con le letture. Proprio l’altro giorno ero alla fumetteria Midtown Comics di New York, con mio figlio, e cercavo di ritrovare quello spirito. Ho ignorato tutto quel che la gente dice sia grandioso e ho comprato quel che ha attirato la mia attenzione, come facevo da ragazzo.

Lavorare nel fumetto, rispetto al resto dei miei impegni di giornalista, è davvero una gioia. Soprattutto in questo periodo, sotto elezioni, in cui tutti hanno un’opinione e una posizione, in questo momento della mia carriera in cui tutti si aspettano di sapere quale sia la mia. Mi sento spinto, da giornalista, a scrivere sempre la stessa cosa, in continuazione, le opinioni che ho già espresso. Invece Black Panther è sempre nuovo e diverso.

Non credo comunque che verrà il giorno in cui mi dedicherò solo ai fumetti. Anche l’altro giorno ho scritto un saggio per The Atlantic, dopo un anno di inattività. Sono rimasto un po’ ai blocchi perché ero spaventato dalle scadenze. Una cosa che non mi preoccupa, invece quando scrivo a fumetti, perché la scrittura mi riesce più naturale ed è meno complessa.

Nel tipo di giornalismo che faccio io, anche se sai di aver detto tutta la verità, di averlo fatto nel modo giusto, in qualche modo hai la sensazione che la storia sia una tua creazione, di doverle dare una struttura. Infatti ho sempre l’idea che le mie prime bozze di un saggio o un articolo facciano pena, ma davvero moltissimo. La pressione di trovarsi sempre di fronte un fuoco di fila, il timore che la gente che leggerà si renderà conto, improvvisamente, che sono uno stupido mi preoccupa sempre molto.

 

Coates si professa, da sempre, un fan della Marvel e legatissimo ai suoi personaggi. Impossibile per lui dire perché, ma gli eroi della DC Comics non lo hanno mai attratto e, anche ora che sta dando loro un’occasione, tramite Rebirth, qualcosa lo frena nell’abbracciarli.

 

Il fatto è che le storie della Marvel mi sono sempre parse vere. Prima di leggere Spider-Man, guardavo i suoi cartoni animati e sentivo parlare degli X-Men, prima di leggerne le storie. Non potevo credere che quei personaggi, nelle loro storie, non fossero amati dalla gente comune. Chi non ama i supereroi? Salvano il mondo! Non mi capacitavo di Jonah Jameson e della polizia che detestavano l’Uomo Ragno e degli umani che temevano gli X-Men. Ma mi affascinava e trovo che fosse una metafora profonda del nostro mondo.

Non è che io legga soltanto storie Marvel, comunque. Seguo, ad esempio, The Wicked + The Divine e ho appena finito di leggere Velvet, di Ed Brubaker, che è una storia meravigliosa.

 

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Fonte: The Wall Street Journal