Qualche giorno fa, prima dell’incontro con il pubblico nella tappa bolognese del suo tour promozionale, abbiamo incontrato Giacomo Bevilacqua per un’intervista in cui l’autore romano ci ha parlato di Il suono del mondo a memoria, svelandoci alcuni retroscena sulla realizzazione di questo suo ultimo fumetto.

 

Visto che per Samuel è così importante, qual è il primo ricordo di Giacomo Bevilacqua?

Il mio primo ricordo è: io che mi allontano dall’asilo nido, mia madre mi era venuta a prendere e io le chiedo: “Mamma, ma io sono un bambino buono, perché mi porti qui?”. Da allora non mi ci ha più portato, ho fatto direttamente l’asilo, quindi ero paraculo anche quando avevo due anni. Però sì, la prima immagine nella mia memoria sono io che mi allontano dall’asilo, forse un ricordo abbastanza noioso, dovrei inventarmene un altro…

Be’, Il suono del mondo a memoria sarebbe stato un fumetto decisamente meno interessante.

Esatto. Però credo che sia iniziata lì la mia voglia di stare a casa l’80% del mio tempo e fare il fumettista: “Portami via da questo posto pieno di altri bambini e altri esseri umani!”

In una delle mie vignette preferite di A Panda Piace hai scritto: “In un mondo di social network, sappi che se ogni tanto senti il bisogno di stare da solo non vuol dire che sei malato”. Visto che Samuel va a New York, lontano da tutto e tutti, non volendo parlare con nessuno… possiamo considerare Il suono del mondo a memoria un’evoluzione di quel concetto?

Il suono del mondo a memoria, copertina di Giacomo BevilacquaSì, il discorso è esattamente questo. L’ho ambientato a New York perché fondamentalmente New York è la protagonista del libro. È una città profondamente contraddittoria, com’è poi per il 98,9% dell’America. La contraddizione di New York sta nel fatto di poter passare il tuo tempo in completa solitudine. È una sfida, una cosa molto difficile da fare.

Puoi conoscere subito delle persone appena atterri con l’aereo, hai la possibilità di crearti subito un gruppo di amicizie con cui poi passerai il tuo tempo a New York. È una cosa che può succedere solo lì, secondo me. Io ho viaggiato molto e New York è uno di quei posti dove puoi conoscere i tuoi migliori amici, se vai lì senza conoscere nessuno, ma puoi anche passare del tempo da solo senza che nessuno ti rompa i coglioni.

Io dovevo decidere tra questi due aspetti. Ho scelto la sfida di stare solo che Samuel lancia a se stesso, perché è una cosa sempre più difficile; come dico all’inizio del libro, tra i social network, gli SMS, le e-mail, eccetera, è impossibile non avere contatti umani. Lui lo fa forzandosi, parlando con una sola persona – che è il suo editor – ma per il resto è un viaggio di introspezione forzata.

Ormai siamo completamente sovraccaricati di messaggi, di social… Io ho fumato per dieci anni un pacchetto e mezzo di sigarette al giorno – ero proprio fumatore incallito – e se stavo per un’ora e mezza o due senza fumare, quando prendevo la sigaretta la prima sensazione che provavo era il senso di colpa per non aver fumato per così tanto tempo. E questo è il senso di colpa tipico della droga. Con i social network mi capita la stessa identica cosa: se sto lavorando fitto e magari mi rendo conto che non ho controllato Facebook e Instagram per due ore, mi assale questa sensazione che dura una frazione di secondo, ma mi fa aprire e controllare cosa sia successo.

Il suono del mondo a memoria variantCerto volte quando devo lavorare e sono sotto consegna metto proprio il timer nel telefono. Per due ore mi impongo la regola di non controllare niente. Poi entro e magari è successo il finimondo, ormai quello è il mondo vero, dove ad esempio Roberto Recchioni mi ha taggato in una foto, è scattata la discussione della vita e me la sono persa. Mi trovavo al centro dell’attenzione e nel frattempo io stavo lavorando, facendo una cosa che fino 5 anni fa era considerata normale, ma ora è arrivato Internet, che ha cambiato le carte in tavola. Ed è spaventoso.

È qualcosa che io cavalco senza ritegno. Comunque io lì mi ci trovo bene, perché faccio parte di una generazione che questa cosa l’ha vissuta dall’inizio e ora è interconnessa con il mio lavoro. Il problema è che tutta la gente che usa Internet, che ora si prende lo smartphone, magari non ha vissuto la fase Windows, prima, quindi ci sono tutti questi commenti sessisti o razzisti perché noi abbiamo imparato diversi anni fa a mandarci a fanculo via mail, loro lo stanno scoprendo adesso. E non sono soltanto i ragazzini.

È nata prima la storia de Il suono del mondo a memoria e poi hai pensato che New York fosse il luogo migliore per ambientarla, oppure avendo tu vissuto lì per un anno hai deciso di creare un fumetto ambientato nella Grande Mela e ci hai costruito attorno la trama?

È nata prima New York. Io sono tornato da New York e la frustrazione di non riuscire a raccontare per immagini quello che avevo visto, perché non sapevo colorare, era molto forte. Quindi ho pensato che mi servisse una storia, ma questa non arrivava. La prima cosa che è nata di questo fumetto è stata pagina 65, la prima cosa in assoluto che io abbia fatto di questo fumetto; l’ho mandata alla BAO assieme a una sinossi di cinque righe, con la trama a grandi linee, e gli ho chiesto: “Me lo fate fare?”. Loro sono stati bravi a vedere un libro che non c’era ancora.

La storia è arrivata a un certo punto, mentre sentivo una canzone. Essendo bilingue non mi concentro nel lavoro ascoltando canzoni, perché poi seguo il testo e colgo due o tre parole che mi fanno fare viaggi pindarici incredibili e ci costruisco intere storie attorno. Questo fumetto è nato esattamente così: il brano jazz I’ve grown accustomed to your face di Chet Baker, che è all’interno della vicenda, è stata la prima canzone nello shuffle di Spotify che ho sentito appena atterrato a New York.

La narrazione per didascalie non è soltanto un elemento formale ma si rivela poi legata a doppio filo con la vicenda. Hai pensato subito alle didascalie, o una volta completata la storia hai modificato a ritroso lo stile del racconto?

La didascalia e i flussi di coscienza sono sempre stati il modo in cui avrei voluto raccontare questa storia. Ho sempre fatto fumetti diversi l’uno dall’altro, non mi sono mai fossilizzato su un genere, perciò ho pensato: “In che modo posso sfidare me stesso facendo qualcosa di differente da tutto ciò che ho realizzato finora? Facendo un fumetto senza fumetti”. Poi in realtà ci sono alcuni fumetti, ma sono neri, il lettore può immaginare cosa ci andrebbe scritto all’interno. Ma volevo vedere se sarei stato in grado di fare qualcosa del genere.

A proposito di diversità: in Metamorphosis presentavi una Roma caotica, con Luna che si aggira nel traffico ascoltando musica ad alto volume, manifestazioni… quando la maggior parte delle persone magari si aspetta di vedere la città poetica di Vacanze Romane. New York invece tutti la immaginano caotica e tu ce l’hai mostrata da un altro punto di vista. Hai una città nel cuore che credi potrebbe stimolarti in futuro, per una nuova storia?

Avrei una risposta perfetta per questa domanda ma non posso dartela…

Acc… Non sarà l’isola deserta di Lavender? Hai passato un anno su un’isola deserta?

[ride] No, non ho passato un anno su una città deserta. Vediamo, ti risponderò così: la città ideale probabilmente non esiste e la dovrò inventare. [ammicca con le sopracciglia]

New York e Roma sono due città estremamente diverse tra loro. Bologna mi piace tantissimo, e non lo dico solo perché ci sono in questo momento, come i rocker che cambiano versione a ogni concerto. Se dovessi andare a vivere in una città, dopo Roma e New York, credo sarebbe proprio Bologna. È la città con l’equilibrio perfetto.

Le regole. Luna ha una serie di regole appena si sveglia la mattina per non andare in crisi, mentre Samuel si impone questa regola di non parlare con nessuno. Prima parlavi delle regole che ti dai quando lavori: come mai sono un elemento così ricorrente nei tuoi lavori?

Io ho l’ansia e senza l’ansia non sarei arrivato da nessuna parte. La prima cosa che devi fare se vuoi arrivare da qualche parte e hai l’ansia è metterla al lavoro per farti dare delle regole. Le regole sono essenziali per non bucare le consegne. Se non vivi secondo delle regole che ti dai da solo, non puoi continuare a vivere facendo un certo tipo di lavoro come il mio. L’importanza di avere dei personaggi che si danno delle regole è proprio una conseguenza di questo mio essere ansioso.

Il suono del mondo a memoria, anteprima 01