Negli anni Novanta, Christopher Priest era uno sceneggiatore acclamato nell’industria del fumetto americano, uno dei primi autori afroamericani ad aver avuto successo e ad aver portato alla ribalta eroi di colore, come Acciaio della DC Comics e Pantera Nera della Marvel.

Dalla chiusura di Captain America and the Falcon, nel 2005, di Priest si erano un po’ perse le tracce, salvo sporadiche riapparizioni con singole storie a fumetti da lui scritte. Ha destato un po’ di sorpresa quando, poco più di due mesi fa, lo scrittore è stato annunciato come firma della serie Deathstroke, dedicata al villain DC Comics e facente parte del rilancio denominato Rebirth. La collana avrà cadenza quindicinale negli Stati Uniti, sarà illustrata da Carlo Palaguyan e Joe Bennett, ed esordirà la settimana prossima con uno speciale prologo.

Priest ne ha approfittato per concedere un’intervista a Comic Book Resources, partendo dai motivi del suo ritorno al fumetto.

 

Deathstroke: Rebirth #1, copertina di ACODeathstroke non è nero. Fondamentalmente è questo il motivo. Ogni diciotto mesi o qualcosa del genere, ricevevo chiamate da Marvel, DC o qualche altro editore indipendente nelle quali mi veniva chiesto di scrivere un nuovo titolo. Immancabilmente, era un personaggio di colore, di solito afroamericano.

Ci sono tanti motivi per i quali ho lasciato perdere l’industria del fumetto otto o nove anni fa e uno di questi è che ho iniziato a lavorarci come scrittore. Ho scritto Spider-Man, Power Man and Iron Fist, The Ray, Action Comics, Green Lantern: Emerald Dawn e roba del genere. In qualche modo, smisi di essere uno scrittore per divenire uno scrittore nero. Non so bene cosa sia accaduto. Non è che non volessi lavorare in questa industria, o che mi fossi ritirato. Semplicemente, questo è quello che mi veniva offerto: esclusivamente personaggi neri.

Vorrei che fosse chiaro che avrei davvero voluto lavorare in questa industria, ma che ci tenevo a essere preso sul serio come scrittore, non come “scrittore nero”. Avevo questo tipo di discussioni ogni diciotto mesi. Il group editor Marie Javins mi chiamò proponendomi Deathstroke, e per un minuto non risposi. Impiegai quel tempo per ricordarmi chi fosse il personaggio. Allorché chiesi se fosse quel tipo di Teen Titans, quello con la spada, ricevendo risposta affermativa. Chiesi poi se fosse nero, e lei rispose di no. Fu allora che le dissi che poteva continuare con la sua proposta.

Francamente, mi intrigava l’idea di scrivere di un villain, cosa che non ho mai davvero fatto in passato. Pensavo potesse essere una sfida interessante per me. Chiaramente specificai che avrei scritto qualcosa di fortemente incentrato sul personaggio, in modo introspettivo, per entrargli nella testa ed esaminarlo, come feci con Pantera Nera.

Sapevo chi fosse il personaggio, ma non sapevo che aveva una sua serie personale. Da parecchio, a quanto pare. Non lavorando nell’industria, non leggevo più fumetti. Quando Marie mi ha detto che questo Rebirth era una sorta di continuazione de I Nuovi 52, io le chiesi cosa fosse I Nuovi 52. Mi ha dovuto spiegare tutto dall’inizio.

 

Lo sceneggiatore ha poi discusso di com’è per lui scrivere una serie che esce due volte al mese:

 

A dire il vero è più facile di quanto mi aspettassi. Io e l’editor abbiamo lavorato a una trama generale, poi ho iniziato a sviluppare soggetti di un paragrafo per ognuna delle uscite. Abbiamo impostato circa nove uscite con “allora, la storia parlerà di questo”. Poi abbiamo sottoposto il nostro lavoro a Geoff Johns, che ha espresso gradimento, correggendo il tiro dandoci delle precise coordinate. Non ci ha imposto una trama predefinita, ma degli obiettivi in termini di storia. Abbiamo quindi iniziato da capo, sviluppando questa nuova storia con la supervisione di Geoff. Fatto questo, avevamo ancora circa otto uscite pre-impostate. Abbiamo adattato il tutto, e, francamente, si è rivelato piuttosto semplice. Pensare a questi soggetti si è rivelato arduo, perché la parte difficile è pensare alla storia, mentre la parte scrittoria è piuttosto meccanica. Comunque, è stato davvero un buon inizio.

 

Infine, Priest ha tratto un giudizio finale su com’è tornare a scrivere dopo un lungo periodo di inattività:

 

È un po’ strano, ma è come andare in bicicletta. Non te ne scordi mai davvero. La prima sceneggiatura ha richiesto tantissimo tempo, anche perché mi dovevo abituare al nuovo format, da fumetti di ventidue pagine come un tempo, a quelli di venti di oggi. E in questi anni ho lavorato a scrivere romanzi, che sono ovviamente in prosa. Ora devo pensare in termini di sole venti pagine a uscita. C’è voluto un po’ perché prendessi il ritmo, ma alla fine è venuto naturale.

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Fonte: CBR