In occasione del suo tour promozionale in Italia, grazie a Rizzoli Lizard abbiamo avuto l’occasione di incontrare Craig Thompson. Il risultato è una lunga e interessante chiacchierata sulle sue opere, sul suo processo creativo e sui suoi progetti futuri.

 

 

Rileggendo consecutivamente tutte le tue opere, mi sono reso conto che per ogni ognuna affronti qualcosa di completamente diverso: Addio, Chunky Rice è una storia delicata con l’aspetto di una fiaba per bambini, Blankets una poetica storia d’amore, Carnet di viaggio una raccolta di disegni e aneddoti personali, Habibi un racconto quasi mitologico con scene violenti, mentre Polpette Spaziali è una fresca e movimentata avventura nello spazio adatta a tutte le età. Sembra quasi che ogni volta in cui ti siedi al tavolo da disegno tu dica a te stesso: “Ok, devo andare nella direzione opposta rispetto alla mia opera precedente”.

Hai descritto esattamente quello che mi passa per la testa, l’impulso artistico che mi attraversa quando mi siedo al tavolo da disegno. Fin dai bozzetti, dal momento in cui immagino la storia, vuole essere l’inizio di qualcosa di nuovo, mettendomi alla prova con qualcosa con cui non sono a mio agio; per me questo è parte fondamentale del processo creativo. Non voglio ripetermi. Anche se ammiro fumettisti come Charles Schulz, probabilmente il migliore di tutti i tempi, non ho mai voluto lavorare con un solo cast di personaggi, un solo genere, un solo stile, per tutta la mia carriera. Mi trasmette una sensazione di soffocamento. Per me si tratta di ricreare me stesso, ogni volta.

In tutti i tuoi lavori i protagonisti sono esseri umani, anche in Polpette Spaziali che è ambientato in un universo fantascientifico con grandi possibilità di scelta, per il personaggio principale hai comunque scelto una bambina umana. Come mai all’esordio, con Addio, Chunky Rice, hai scelto degli animali per raccontare una storia in parte autobiografica?

Polpette Spaziali, di Craig Thompson - Rizzoli LizardA essere onesti, nel periodo in cui ho realizzato Addio, Chunky Rice quello era il mio stile di disegno: graziosi animaletti parlanti da cartone animato. Faceva parte della mia tradizione, essendo cresciuto guardando cartoni animati e leggendo strip a fumetti, non avevo molti riferimenti di graphic novel o serie di supereroi. Solo con Blankets ho imparato come disegnare in modo realistico, come rappresentare gli esseri umani. Prima il mio istinto mi suggeriva di disegnare animali da cartoon.

Credo che Scott McCloud con il suo Capire il fumetto sia stato una grossa influenza per il mio stile, quando parla di personaggi iconici, molto stilizzati, come il lettore li interpreta e come sia possibile metterli in ruoli così importanti, anche se sono disegnati in modo semplice e astratto. Per me questo era molto importante: cosa succede se prendo un personaggio che ha la semplicità di Hello Kitty (anche il nome Addio, Chunky Rice è ispirato a Hello Kitty) per veicolare emozioni e sensazioni più complesse, come la malinconia. Per me era una scelta nuova e sovversiva, potevo utilizzare un look accattivante e simpatico per parlare di qualcosa di cupo e triste.

All’inizio di Blankets, il Craig bambino dice che per lui il disegno è una fuga dalla realtà. Cos’è cambiato in tutti questi anni?

Da adulto, disegno per comunicare. Disegno per connettermi con gli altri. Da bambino ero solo, annoiato, isolato all’interno di una piccola comunità, così ho creato dei mondi dove poter vivere sulla carta, per istinto di sopravvivenza. Ora, nella maggior parte dei casi, la fantasia come forma d’evasione non mi interessa. Voglio disegnare per creare un legame con persone reali, entrare in connessione col mondo tangibile intorno a me. Con Polpette Spaziali ho ripreso parte dell’energia creativa che avevo da bambino nella costruzione di mondi fantastici, ma infondendo elementi dal mondo reale, un messaggio che trova un riscontro nella società attuale.

Sappiamo che Blankets è stato ostacolato da diverse istituzioni religiose e figure molto conservatrici che lo hanno bandito da librerie e biblioteche. Hai avuto anche un riscontro positivo da parte della realtà cristiana o solo critiche negative?

Entrambe. Ho incontrato sacerdoti che sono fan del fumetto e molti credenti che si sono identificati nel percorso del protagonista. In generale credo che le reazioni positive siano superiori a quelle negative. La più strana reazione negativa di cui sono al corrente, è un lettore che ha provato a ordinare il libro da Amazon e gli è stata recapitata a casa una copia della Bibbia, con un bigliettino: “Piuttosto leggi la Bibbia”.

Mandata da Amazon?

Sì, un impiegato di Amazon, che probabilmente poi è stato licenziato. [ride]

Blankets è una storia autobiografica. Com’è stata accolta dalle versioni reali dei personaggi che hai rappresentato? Raina, i tuoi genitori, tuo fratello…

I miei genitori si sono arrabbiati molto quando il volume è stato pubblicato. Mia mamma mi disse che sarei andato all’inferno a causa di quel fumetto, era uno strumento del demonio.

Ho un fratello e una sorella, abbiamo legato molto grazie al volume, perché il processo di stesura della storia mi ha portato a lunghe chiacchierate con loro, che non avevo mai avuto prima. Non siamo cresciuti in una famiglia molto unita, ma abbiamo cominciato a parlare di spiritualità, di sessualità, dei nostri ricordi d’infanzia, e questo ha creato un’intimità che ora continuiamo ad avere. Loro hanno adorato Blankets.

Raina è stata ispirata da due diverse ragazze. Una è stata una brevissima storia ai tempi del liceo, che non ho più sentito da allora. Possiedo ancora la coperta che mi ha regalato, simile a quella che ho disegnato nel fumetto, ed è sopravvissuta a quella relazione diventandone un veicolo emotivo. Per me è un po’ la metafora dell’arte, rendere degli oggetti fisici contenitori in grado di portare avanti sentimenti, pensieri, energia fino… fino a dopo la tua morte, probabilmente.

L’altra ragazza invece è stata la mia fidanzata per 8 anni, stavamo assieme mentre disegnavo il volume, è stata la modella per la rappresentazione grafica di Raina, e molta dell’energia emotiva nella storia proveniva dal rapporto reale che avevo con lei. Perciò è molto strano quando qualcuno mi chiede del personaggio di Raina, perché effettivamente ero fidanzato con lei quando l’ho creato, in qualche modo ne è stata co-autrice, sentimentalmente e visivamente. La relazione è finita più o meno quando ho finito il fumetto, perciò la vita reale non è interessante come il fumetto…

Nell’introduzione di Carnet di Viaggio presenti il fumetto ai lettori non come “il nuovo libro di Craig Thompson” ma come uno snack in attesa del volume successivo. I lettori sarebbero però molto felici di altri intermezzi simili, tra un grosso progetto e l’altro. Qualche anno fa hai scritto sul tuo blog che eri al lavoro su un nuovo carnet di viaggio, possiamo aspettarci qualcosa di simile?

Ci sono un paio di novità a riguardo, in effetti. Faremo una nuova edizione di Carnet di Viaggio in cui ci sarà del materiale inedito. Ancora non so bene quanto, qualcosa potrebbe provenire da altri viaggi, qualcosa sarà una sorta di espansione o commento alle esperienze già rappresentate nel volume originale.

C’è poi un progetto per il quale sto collaborando col disegnatore francese Edmond Baudoin, ha 74 anni ed è un vero Maestro. Abbiamo viaggiato per mesi in Francia, abbiamo trascorso un paio di settimane nel suo paese d’origine Villars sur Var, vicino a Nizza, disegnando ogni giorno e pianificando il volume. Poi abbiamo viaggiato per un mese negli Stati Uniti, facendo un classico road trip americano: siamo saliti in macchina e da Los Angeles abbiamo attraversato Nevada, Colorado, Yutah, Nebraska, Iowa, Minnesota, Wisconsin, South Dakota, Wyoming, Montana, Washington, Oregon e poi siamo tornati sulla costa occidentale per il parco nazionale di Redwood, San Francisco per finire nuovamente a Los Angeles. Un carnet di viaggio molto lungo. Ed è una collaborazione, per cui sarà molto più interessante.

Edmond Badoin ritratto da Craig Thompson

Edmond Badoin ritratto da Craig Thompson

 

Sarà disegnato a quattro mani?

Sì… anzi, a dire il vero sarà disegnato a due mani, ognuno di noi disegna solo con la mano destra. [ride] Abbiamo addirittura disegnato all’interno della stessa pagina, oppure io realizzavo una tavola che Edmund ritagliava per inserire alcuni suoi riquadri. Molto del risultato finale non era sotto il mio controllo. Questo in alcuni casi fa molta paura, ma in altri è davvero soddisfacente.

In Carnet di Viaggio fa la sua prima apparizione una piccola creatura arancione, che abbiamo iniziato a vedere anche sul tuo blog, fino a vederlo trasformato in un personaggio: Zaccheo di Polpette Spaziali. Come mai hai scelto di attuare questa evoluzione, di “promuovere” quell’esserino fino a farne il co-protagonista di un tuo fumetto?

Non è stata una promozione, in realtà lui è stato il primo componente della squadra di Polpette Spaziali. Dopo aver finito Habibi volevo realizzare un volume umoristico, una commedia. Lo disegnavo già, era nella mia mente, mi dicevo: “prima o poi disegnerò qualcosa con questa creatura”. Poi si è unito al team Elliot il pollo, che compariva qua e là da 20 anni nei miei quaderni di sketch ma non aveva mai trovato spazio in un volume, restava nelle retrovie a guardare gli altri personaggi passargli davanti.

Elliott ha 20 anni, Zaccheo ne ha 12… e poi cinque anni, fa due miei grandi amici hanno avuto una bimba di nome Violet, appena è nata tutto ha preso forma, ho capito che mettendo assieme lei e questi due tizi avrei potuto raccontare una grande avventura. La bambina è stata la mia più grande ispirazione, colei a cui ho dedicato il volume, volevo realizzare un fumetto per la piccola Violet, facendo di lei la star.

Qual è la fantascienza che ami e che ti ha ispirato per Polpette Spaziali?

Da ragazzino amavo Guida galattica per autostoppisti di Douglas Adams. Inoltre guardavo continuamente Alien di Ridley Scott, molto dell’estetica industriale del settore operaio in Polpette Spaziali viene da quel film. Poi direi Wall-E della Pixar, la prima parte è la perfezione cinematografica, è tutto così cupo, desolato, apocalittico e in qualche modo sono riusciti a trovare l’umorismo e la bellezza in mezzo a tutta quell’immondizia.

Qualche anno sul blog hai accennato a un volume a fumetti erotico. Ci stai lavorando o è un progetto che hai accantonato?

L’ho accantonato ma prima o poi lo riprenderò. Quando finisco un fumetto vado in tour promozionale e per circa un anno mi dedico a quello. Non ho ancora iniziato il mio prossimo volume, ma ci sono idee che stanno fermentando nella mia testa… probabilmente tre diversi progetti si stanno dividendo la mia attenzione.

Uno è il libro erotico che hai citato, l’altro è il diario di viaggio con Edmond Baudoin, poi c’è un fumetto che probabilmente mi richiederà anni di ricerche e una documentazione approfondita, come per Habibi, e sarà ambientato in Cina. Un “Habibi della cultura cinese”, ma sarà un grosso impegno, nel frattempo spero di riuscire a dedicarmi a progetti più piccoli.

Craig ThompsonHai detto di non essere interessato a dedicarti in modo seriale a uno stesso cast, ma ora che hai raggiunto una grande notorietà come fumettista, c’è qualche personaggio creato da altri su cui ti piacerebbe lavorare?

No, mai. Non mi attira.

Non parlo per forza di grosse compagnie come gli universi Marvel, DC Comics, o i personaggi Disney… magari qualche storia breve, collaborazioni amichevoli con autori che apprezzi. Ad esempio so che hai grande stima di Jeff Smith, ti interesserebbe magari un episodio autoconclusivo di Bone, di poche pagine?

Oh… [ci pensa su] no, credo non mi interessi comunque. In tutta sincerità, il mio cervello non funziona così. Non sono interessato a prodotti su licenza. Penso che i fumetti di supereroi – il prodotto su licenza definitivo – abbiano paralizzato il medium, creando degli standard. Sono molto più interessato ad autori con un proprio stile ben riconoscibile, storie personali piuttosto che lo stesso personaggio riciclato all’infinito, con reboot necessari a mantenere vivo un franchise. Mi annoia.

Ci sono tavole dei tuoi volumi meravigliose e ricche di dettagli. Hai mai pensato a dedicarti, parallelamente al fumetto, alla pittura? 

No, mi mantengo da vivere facendo illustrazioni, è così che pago le bollette. Realizzare dipinti non cattura la mia creatività senza l’elemento narrativo. Per me è importante il legame testo e immagine, non voglio separarli. Non mi gratificherebbe essere solo uno scrittore, o solo un disegnatore, è con la fusione delle due attività che avviene la magia.

La maggior parte dei tuoi fumetti (direi tutti, con l’eccezione di Carnet di Viaggio) potrebbero essere trasposti sul grande schermo. Saresti interessato, preferisci evitarli, ti sono state fatte proposte che non ti convincevano…?

Un po’ tutte le cose che hai detto. Ogni volta che esce un mio volume qualcuno da Hollywood mi contatta, ma nella maggior parte dei casi non mi interessa. Per molto tempo mi imponevo di rifiutare ogni offerta di questo genere, ma da un anno vivo a Los Angeles e quando mi sono trasferito ero irrequieto, volevo partecipare alla cultura creativa della città, così ho contattato un agente e ho iniziato a incontrare diversi studi di produzione. Sto discutendo con alcune persone al momento, è troppo presto per parlarne, non c’è nulla di concreto… alcune delle proposte che mi sono state fatte le detesto, altre mi ispirano, perciò si vedrà.

Per me non è importante, il fumetto rimane comunque l’incarnazione principale di quelle storie, ma mi interessa nello stesso modo in mi cui attrae provare qualcosa di nuovo, vedere che risultati può dare un determinato progetto.

Non voglio che tu mi riveli questi progetti in via di lavorazione, ma se tu potessi immaginare una collaborazione dei sogni, un regista che pensi sarebbe perfetto per adattare un tuo fumetto? Ad esempio, credo che Michel Gondry sarebbe un perfetto regista per un film di Blankets, sperimenta visivamente sul grande schermo in modo molto simile a quanto tu fai sulla pagina bianca…

É buffo che lo citi, perché il produttore di Se mi lasci ti cancello è stato il primo a contattarmi per un adattamento di Blankets, lo stesso mese in cui uscì quel film… Sarebbe di certo un regista interessante.

Per Habibi invece mi ha contattato il regista Shekhar Kapur, che ha diretto Elizabeth. C’è del movimento, ma Hollywood è così complicata che non sono sufficienti le persone giuste. È una strana industria economica.

Chiudiamo con qualche consiglio per la lettura: qual è il fumetto più interessante che hai letto negli ultimi mesi?

L’ultima graphic novel che mi ha emozionato profondamente è Rosalie Lightning di Tom Hart, conosciuto in America soprattutto per il suo personaggio Hutch Owen. Ha avuto una figlia di nome Rosalie che è morta quando aveva meno di due anni e lui ha realizzato questo fumetto sull’inaspettata morte di una bambina così piccola. Ovviamente è una storia molto personale e molto dura, davvero emozionante.

 

Craig Thompson