Durante la recente edizione di Napoli COMICON, nella splendida cornice del Teatro Mediterraneo, come di consueto sono stati assegnati i Premi Micheluzzi e, in coda alla manifestazione, è stato annunciato un po’ a sorpresa il nome del prossimo Magister, la prestigiosa figura che affianca lo staff organizzativo nella gestione della fiera e funge da punto di riferimento per la linea culturale da seguire nelle mostre e negli eventi. Dopo Milo Manara e Silver, questo importante riconoscimento è stato assegnato a Roberto Recchioni, sceneggiatore e fumettista romano.

La carriera di Recchioni parte agli inizi del terzo millennio e può vantare innumerevoli e variegati lavori: da John Doe al successo di Orfani, dal rilancio di Dylan Dog alle collane I Maestri dell’Orrore e I Maestri dell’Avventura. Un personaggio molto legato alla comunicazione sul web (tema del prossimo Napoli COMICON) e che, forse, meglio di altri potrà trattare questo argomento così delicato. All’indomani di questa pesante investitura abbiamo incontrato uno sfinito Recchioni per scambiare qualche battuta sul suo ruolo di Magister e sul ritorno in libreria di John Doe, serie diventata ormai un cult e riproposta oggi in una nuova edizione da BAO Publishing. La parola al Magister 2017, Roberto Recchioni.

 

 

Ciao, Roberto, bentornato su BadComics.it! A sorpresa è stata annunciata la tua investitura di Magister per il prossimo Napoli COMICON. Nel rinnovarti i complimenti e farti tanti auguri, qual è stata la tua prima reazione?    

Be’, quando Claudio [Curcio, Direttore Generale di Napoli COMICON] e Alino [uno dei direttori culturali] me l’hanno proposto ho detto inizialmente di no, perché ho avuto la reazione che hanno avuto un po’ tutti. Sono state saltate tre generazioni di autori: passiamo da Silver a me, c’è un gap generazionale fortissimo tra i precedenti Magister e me.

Poi, riflettendoci, ho pensato fosse un segnale forte da parte di Napoli COMICON: insignire qualcuno ancora in piena attività, che in questo momento ha ancora meno di 50 anni: è un segnale potente in termini di comunicazione. Visto che la prossima edizione del Napoli COMICON verte proprio sulla comunicazione via web, ma anche sul concetto stesso in senso più largo del termine “comunicazione”, mi è sembrato un gesto talmente forte, talmente coraggioso, talmente provocatorio che non ho potuto non accettare.

È chiaro che l’impegno è alto sia in termini di ideazione che in termini istituzionali, perché comprenderà la realizzazione del poster della manifestazione, una mostra personale, il libro e tutta una serie di impegni. Sarà divertente. Sarà un anno pieno.

Il premio arriva dopo l’ennesimo mancato riconoscimento ai Micheluzzi. In particolare pensiamo a Orfani, una serie di rottura che tanto successo sta riscuotendo in Italia e all’estero, grazie al lavoro di Sergio Bonelli Editore e BAO Publishing.

Ma guarda, nelle nomination del Premio Micheluzzi non mi hanno mai considerato minimamente. Il motivo credo sia dovuto al fatto che si tratta di due gruppi differenti. Il comitato scientifico del Premio, che poi è quello che sceglie le opere da mettere in nomination, è composto più o meno sempre dalle stesse persone e se non gli piacevo cinque anni fa, dieci anni fa, non vedo perché dovrei iniziare a piacergli adesso. Diciamo che non ci sono molte possibilità che io riceva un Premio Micheluzzi in vita mia.

Tra le diverse iniziative che ti vedono coinvolto, la più interessante e anche la più attesa è il ritorno di John Doe, serie co-creata insieme al compianto Lorenzo Bartoli, la cui prima stagione sarà interamente riproposta da BAO Publishing in sei volumi. Credi che un fumetto nato nel 2002 possa essere ancora attuale nel mercato italiano di oggi?

John Doe vol. 1John Doe è stato un fumetto seminale sotto molti aspetti. Per esempio è stato il primo fumetto italiano ragionato in stagioni. Oggi tantissimi fumetti della Sergio Bonelli Editore, come quelli di tante altre case editrici, sono ragionati in stagioni. Anche Orfani, per dire. Poi è stato il primo fumetto fortemente influenzato dal linguaggio televisivo delle serie TV. Oggi tantissimi si rifanno ai serial televisivi, o comunque guardano alla scrittura delle serie americane o inglesi, perché secondo tanti è la frontiera. John Doe ci è arrivato con molti anni di anticipo, all’epoca stavo preparano una rivista sui telefilm. Ero uno che diceva, tredici anni fa, che nella serialità americana c’era la nuova scrittura americana. Erano anni in cui le serie TV erano I Soprano, E.R., The Wire, Buffy.

Inoltre John Doe era un fumetto di fortissima rottura in termini di linguaggio della gabbia bonelliana. Era un formato Bonelli, ma non cercava affatto di replicare il linguaggio Bonelli. Oggi quel tipo di approccio l’ho portato io in Bonelli, sia su Orfani che su Dylan Dog, e tanti hanno seguito un po’ quella strada. La cosa buona è che il lavoro mio e di Lorenzo [Bartoli] ci è sembrato ancora molto attuale e anche per questa ragione Michele [Foschini] l’ha voluto ristampare. Oltre al fatto che adesso John Doe si porta dietro lo status di fumetto cult.

Perché nasce solo oggi la volontà di ristampare John Doe?

In realtà l’idea è nata diverso tempo fa, perché John Doe aveva un seguito forte quando era in edicola e le richieste di una ristampa sono andate avanti per molto tempo. Il problema vero per una ristampa era che John Doe è durato 10 anni, quattro stagioni e mezzo, cento numeri: era un impegno imprenditoriale molto forte. Io non ho accettato alcuna proposta che non mi garantisse almeno la pubblicazione di tutta la prima stagione, il primo arco narrativo. BAO Publishing ha fatto i suoi conti, ha trovato un modo per far funzionare questo tipo di necessità e adesso abbiamo questi volumi, che secondo me sono bellissimi. Saranno sei, ognuno presenterà quattro episodi e in un arco di tempo ragionevolmente ristretto riusciremo a coprire il tutto. Dovrebbero uscire ogni tre/quattro mesi.

Nella conferenza su John Doe tenutasi durante questo Napoli COMICON, riferendoti ai primi anni di lavorazione della serie, hai parlato di uno spirito pionieristico che contraddistingueva gli autori di quegli albi. Cosa resta nei tuoi ultimi lavori di quello spirito?

Roberto Recchioni, foto di Erica Fava

Foto di Erica Fava

Prima parlavi di critica. Be’, se esistesse una critica attenta nel mondo del fumetto italiano avrebbe visto che io e tutto un gruppo di persone portiamo avanti un discorso iniziato tanti anni fa.

John Doe è stato un laboratorio in cui trovi tutto quello che poi è stato portato nei progetti successivi. Quindi era pensato per un certo tipo di ricerca sugli autori, come succede in Orfani o su Dylan Dog. Era pensato su un certo tipo di ricerca di linguaggio. Tutto quello che componeva John Doe, insieme a un’altra serie che avevo realizzato che si chiamava Garrett – Ucciderò Ancora Bill The Kill, è stato un banco di prova per poi portare quel sistema, all’epoca sperimentale, a una forma di sistema industriale reale.

La macchina che era dietro a John Doe non è tanto diversa da quella che è dietro a Orfani, dietro a Dylan Dog. C’è lo stesso principio di ricerca. Per esempio, tantissimi disegnatori che mi seguivano su John Doe oggi lavorano per Vertigo, DC Comics, Marvel, in Bonelli stessa, in Francia. È un lavoro di ricerca che ho portato su Dylan Dog.

Quindi quello spirito, col tempo, è diventato un modello, un modus operandi che porti ancora con te in tutti i tuoi lavori?

Io non lavoro mai senza l’idea di un modello. Di base c’è sempre una progettualità fortissima, e quella progettualità crea un modello che poi viene raffinato in base agli errori, cercando di eliminarli e poi viene portato avanti. Non mi è mai bastato raccontare una storia per il semplice piacere di raccontarla. Una storia si porta dietro un’idea produttiva.

Durante la lavorazione di questi volumi hai notato qualche errore in fase di sceneggiatura che magari oggi non ripeteresti?

Guarda, io ho tre tatuaggi che ho fatto… uno a sedici anni, uno a diciassette e l’altro a venti, di cui due li ha fatti un mio amico con ago da cucina e china. E, credimi, sono orribili. Ma non mi è mai venuta la necessità o la voglia di ribatterli, coprirli o di cambiarli. Vanno bene così, rappresentano quel periodo. Le revisioni che abbiamo fatto su questa ristampa erano volte a eliminare una serie di errori di realizzazione, nel senso che le scansioni non erano belle come volevamo, il ballon placing in certi casi era fuori di testa, c’erano dei piccoli errori di lettering o nei dialoghi. Quindi il lavoro è stato entrare, ripulire, sistemare, ma non cambiare. Non si nega quello che è il passato. Sarò sempre dalla parte di Spielberg, ma io il lavoro su E.T. non l’avrei mai fatto: non avrei sostituito le pistole con le torce.

Grazie, Roberto, e ancora auguri per il tuo ruolo di Magister a Napoli COMICON 2017.