Essere un personaggio che medita su come gestire uno stato e guidare il proprio popolo nei suoi panni civili, mentre combatte il crimine e le ingiustizie nei panni di un supereroe e di un vero e proprio simbolo nazionale. Questa è la forza di Black Panther secondo Ta-Nehisi Coates, il celebrato scrittore americano, giornalista e saggista apprezzatissimo, che sta scrivendo l’attuale ciclo di storie del personaggio per le matite di Brian Stelfreeze. Lo sostiene lo sceneggiatore nel suo articolo realizzato per il sito del perdiodico The Atlantic, in cui parla del lavoro svolto nell’inedita veste di fumettista.

Parla della sua passione per i fumetti durante l’infanzia, Coates, passata in una Baltimora vessata dalla criminalità e dallo spaccio di droga. Le vignette di Uncanny X-Men e Amazing Spider-Man erano un’occasione di fuga dalla realtà, quella in cui i diversi e i deboli potevano trasformare le proprie sventure in punti di forza e motivi di rivalsa.

 

Black Panther #1Non è forse questa la premessa dietro allo scheletrico Steve Rogers che diventa Capitan America, al secchione Bruce Banner che si trasforma in un mostro infuriato per scagliare lontano i suoi nemici, all’occhialuto Peter Parker che viene trasfigurato dal banale morso di un ragno?

I fumetti, tuttavia, forniscono ben più di una via di fuga dalla realtà. In effetti, a parte l’hip hop e Dungeons & Dragons, sono stati la mia più precoce influenza. Così come gli scrittori del passato si sono formati sul canone di Fitzgerald, Hemingway e Wharton, io l’ho fatto sulla base di Claremont, DeFalco e Simonson.

Tutti i comics che ho amato si basavano su due concetti apparentemente in contrasto: grandiosità della fantasia ed efficienza infallibile. I fumetti sono assurdi e bizzarri. Nei Vendicatori possono militare contemporaneamente un dio nordico, un mostro verde nato da un incubo nucleare, una creatura da fantascienza e un mutante che incarna le minoranze della società umana.

Ma la loro assurdità e bizzarria è resa possibile, in parte, dal fatto che ogni parola deve contare, dato lo spazio ristretto dedicato ai testi. C’è la necessità di porre attenzione ad ogni frase, ogni singola battuta di dialogo, poiché la narrazione non aspetta e non perdona. Nel mio lavoro di giornalista, ho cercato di portare questo atteggiamento, la volontà di rendere preziosa e utile ogni mia affermazione.

 

Lasciare che la fantasia raggiunga i suoi massimi limiti e condensarla in poco spazio: ecco il segreto della scrittura a fumetti, secondo Ta-Nehisi Coates, che parla anche della fatica di scrivere con un approccio visivo alla storia, qualcosa di totalmente inedito per lui, saggista, ma anche lontano dalla sensibilità del poeta e del romanziere.

 

Black Panther #1, schizzi di Brian Stelfreeze #1Devo decidere come appariranno cose e azioni, fare una proposta. L’operazione è più complessa di quel che sembra e mi trovo spesso a non riuscire a far altro che definire in maniera vaga ciò che accade nella vignetta. “T’Challa appare preoccupato”, oppure “Ramonda non è d’accordo”. Sono stato fortunato ad avere un grande artista come Brian Stelfreeze come collega.

Raccontare a fumetti è questione di collaborazione tra autore e artista come sono certo che girare un film dipenda dal rapporto fra sceneggiatore e regista. Brian non si limita a eseguire le mie indicazioni, ma si fa editor e interprete dei miei testi.

Io decido il moto generale della storia, quali parole debbano farla progredire, ma la decisione sul modo in cui essa procede ed è messa in scena è sua. Inoltre, i suoi disegni per Black Panther influenzano moltissimo la mia storia.

 

Coates ha quindi chiarito qual è il punto di contatto fra il suo impegno come giornalista e quello di sceneggiatore di Black Panther. Si tratta di una domanda che spesso si è posto. Può una società accettare e assieme sconfiggere e superare il trauma del saccheggio che sta alla sua base? Declinata nella serie dedicata a Pantera Nera, la domanda suona ancora diversamente. Può un brav’uomo essere un re e una società civile tollerare un monarca?

 

Per affrontare questi interrogrativi ho dovuto fare grandi ricerche, sia nell’archivio delle storie Marvel che in quelli della storia del mondo reale, delle società passate e moderne, dell’Africa pre-coloniale, delle ribellioni contadine del Medioevo europeo, della Guerra Civile Americana e delle Primavere Arabe.

Ecco il sogno realizzato del me stesso bambino che ancora vive dentro di me. Leggere da piccolo Amazing Spider-Man mi ha messo in condizione di ragionare molto sulla celebre frase “Da un grande potere derivano grandi responsabilità”. Così come gli X-Men di Claremont non mi hanno solo raccontato storie di supereroi, ma messo in relazione con il ruolo delle minoranze sociali, con il potere insito nelle loro sottoculture e con le persecuzioni che ne derivano.

Quindi spero che il mio Black Panther faccia altrettanto. Le domande sulla morale sono ciò che motiva l’azione. Le domande, in definitiva, valgono più delle risposte.

 

 

Fonte: The Atlantic