Il nono episodio della seconda stagione di Daredevil, intitolato Sette minuti in Paradiso, si apre con un flashback così come il quinto, solo che questa volta il protagonista assoluto della sequenza è Wilson Fisk, che avevamo già visto tornare in scena alla fine della puntata precedente. Torniamo alla fine della prima stagione e ci viene mostrato quello che è accaduto al personaggio subito dopo la sonora sconfitta infertagli da Daredevil. Wilson viene letteralmente spogliato di tutto ciò che era e aveva: da zar della malavita newyorkese si ritrova a essere un semplice carcerato. Suggestivo è l’arrivo del personaggio in cella, che si ritrova a fissare la parete bianca della sua gabbia, chiaro rimando alla stessa scena, in una diversa location, ammirata nella prima stagione. Nel corso dell’episodio torneremo ad ascoltare anche il caratteristico tema musicale già sentito nella precedente annata.

Wilson Fisk ha scelto di patteggiare, soprattutto per salvaguardare il futuro della sua amata Vanessa, che si trova al sicuro in Europa (cosa che è accaduta spesso anche nei fumetti). Fisk viene assistito dal suo legale di etnia afro-americana, Benjamin Donovan. Nell’Universo Marvel vi è un personaggio omonimo, soprannominato “Big Ben” a causa della sua stazza e della sua forza, apparso per la prima volta in Luke Cage, Hero for Hire #14 (1973) e creato da Steve Eagleheart e Billy Graham: anche in questo caso è un ambiguo avvocato, fortemente connesso ai personaggi urbani di New York, primo tra tutti Luke Cage. Ulteriore elemento narrativo che ci conferma quanto i personaggi delle serie TV Marvel/Netflix (Daredevil, Jessica Jones, Luke Cage) siano connessi tra loro, in attesa di vederli assieme nella miniserie antologica The Defenders. Una curiosità, Donovan è interpretato dall’attore Danny Johnson, apparso (sempre in ruoli di questo genere) nel legal Law & Order: Unità Speciale e nei suoi spin-off.

In carcere, Fisk si trova nell’insolita posizione di dover sottostare alle regole di chi comanda, in questo caso un uomo di nome Dutton che gli ribadisce subito come funzionano le cose. Ovviamente, Wilson non si sottometterà facilmente. Caratteristica è la frase pronunciata dal primo al secondo per sottolineare come sia lui al comando: “I’m the Kingpin of this bitch“: è la prima volta che viene esplicitato l’alias classico di Fisk, Kingpin, nella serie TV. Alla fine del flashback, troviamo Fisk e Frank Castle faccia a faccia nella palestra della prigione, in un momento simbolico e suggestivo.

Ci spostiamo poi presso l’appartamento di Matt Murdock, ferito e avvelenato dal ninja intrufolatosi in casa sua: il protagonista viene soccorso e salvato da Elektra. È qui che scopriamo il segreto oscuro nascosto dalla donna: è una killer professionista che ha ucciso un numero imprecisato di persone nel corso della sua “carriera”. Anche nei fumetti il personaggio viene così presentato e caratterizzato: Elektra è un’assassina spietata, che quasi prova gusto nel fare ciò che fa; vi basterà leggere la graphic novel Elektra: Assassin di Frank Miller per farvene un’idea. Il primo omicidio della donna, nella serie TV, risale addirittura a quando aveva solo dodici anni. La scoperta porta Matt ad allontanare la sua ex amante, sottolineando come questa sia una guerra che deve combattere da solo.

Gli avvenimenti degli scorsi episodi hanno provocato una rottura anche nel trittico perfetto composto proprio da Matt, Foggy Nelson e Karen Page: il risultato è la parola fine per lo studio Nelson & Murdock, con Karen che inizia a valutare un futuro da reporter al New York Bullettin. Nel frattempo, Daredevil continua le sue indagini interrogando Stan Gibson e scoprendo che questi è ricattato da La Mano, i cui esponenti ne hanno rapito il figlio, detenuto presso la Fattoria, un luogo misterioso che scopriremo più avanti.

In carcere, intanto, Fisk ha fatto in modo di strumentalizzare Frank per la sua scalata al potere. L’uomo, infatti, ha scoperto che Dutton conosce alcune verità nascoste sull’incontro tra le tre gang criminali finito male, le cui conseguenze disastrose portarono alla morte della famiglia del Punitore. Utilizzando le sue ingenti risorse economiche, Fisk fa in modo di garantire a Castle un incontro ravvicinato con Dutton e i suoi scagnozzi, così che possa avere le risposte che cerca. Punisher avrà dunque a disposizione sette minuti nel settore del carcere nel quale le sue “prede” sono detenute, senza alcun intervento da parte degli agenti: sono proprio questi i sette minuti in Paradiso citati nel titolo, e il Paradiso di questo personaggio è fatto di violenza, sangue e morte. Il risultato è una spettacolare quanto cruenta sequenza nella quale Frank affronta a mani nude e con alcuni particolari “utensili” l’intera banda di Dutton: l’esito finale è immaginabile, e anche questo personaggio ha il suo momento di gloria e il suo “hallway fight“, oramai un vero e proprio marchio di fabbrica di questo show.

Una curiosità: come nella terza puntata, anche qui ritorna il simbolico elemento narrativo del sangue che, oltre a disegnare un teschio sulla maglietta di Frank Castle, corrompe l’acqua, a simboleggiare come i peccati del Punitore ne abbiano contaminato l’anima. Inoltre, Castle scopre che Dutton era presente il giorno della morte della sua famiglia, come mediatore tra le tre gang, riunitesi per accordarsi sullo smercio di eroina, droga procacciata da un nuovo fornitore su questo sporco mercato: Blacksmith, del quale non conosciamo ancora la vera identità. L’incontro finì male a causa del fatto che in realtà era stata organizzata una retata da parte della polizia, che aveva infiltrato un suo uomo tra le fila di una della gang di criminali.

Blacksmith, dicevamo: nell’universo a fumetti Marvel vi sono ben tre personaggi che sono stati presentati con questo nome in codice. Il primo Blacksmith era un wrestler con superpoteri; il secondo una versione dell’eroe Rage dei New Warriors proveniente da una realtà alternativa;il terzo un alieno mutaforma Skrull sotto copertura. Quali dei tre sarà quello introdotto in Daredevil? Probabilmente nessuno dei tre, data la natura dello show.

Le indagini di Karen, condotte con il direttore del Bullettin, Mitchell Ellison, portano a nuove scoperte: la donna scopre infatti che il John Doe (l’uomo non identificato dal Dottor Tepper) morto nel corso dell’incontro tra gang era proprio il suddetto agente sotto copertura, la cui identità è stata insabbiata proprio dai burocrati che avevano organizzato la retata finita male.

Daredevil giunge alla Fattoria, rifugio segreto de La Mano nel quale scopre una sconvolgente verità: diversi ragazzi, compreso il figlio rapito di Gibson, vengono utilizzati come vere e proprie cavie: il loro sangue confluisce verso una misteriosa quanto antica cassa di pietra con impresso uno strano simbolo in un idioma orientale. Che sia in qualche modo legato all’attivazione dell’arma Black Sky e/o al risveglio della Bestia, creatura demoniaca venerata da questa organizzazione criminale? Del resto, viene più volte menzionata la parola “Rising” (“Rinascita”). Il protagonista inoltre incontra nuovamente Nobu, personaggio che credeva morto dopo il loro scontro nella prima stagione, che terminò con l’uomo in fiamme (e le cicatrici provocate dalle ustioni sono chiaramente visibili sul volto del ninja). In chiusura dell’episodio, proprio Nobu afferma che “la morte non esiste“. Dunque, La Mano è in grado di resuscitare i morti così come nei fumetti Marvel? Così sembra.

Nel frattempo, Karen fa ritorno alla redazione del Bullettin, dove Ellison le dà accesso allo studio di Ben Urich, perito nella prima stagione. Lì, la ragazza scopre come Urich abbia svolto delle ricerche sul suo passato e le abbia lasciato un messaggio, del quale non scopriamo (ancora) il reale contenuto, sebbene si faccia menzione a un teenager ucciso: che si tratti del fratello di Karen, citato in precedenza? Al momento, sono solo supposizioni, ma di certo questa rivelazione lascia visibilmente sconvolta la donna.

In chiusura, c’è tempo per un nuovo faccia a faccia tra Frank Castle e Wilson Fisk. Il secondo rivela al primo come si sia servito di lui per divenire il boss della prigione e che come “premio” gli permetterà di evadere per completare la sua vendetta. I due arrivano pure al violentissimo scontro, molto spettacolare. Il Punitore è dunque di nuovo libero, mentre Fisk è tornato in una posizione di comando: suggestiva, in questo senso, la frase pronunciata dal personaggio: “C’è posto per un solo capo“, dove “capo” in originale è proprio “Kingpin“. Fisk ha dunque scelto il suo nome di battaglia, così come nei fumetti della Casa delle Idee. Più volte nel corso delle storia Marvel Kingpin è finito in prigione ed è finito per divenirne il boss, così come letto anche qualche anno fa nella saga Back in Black con protagonista Spider-Man.

 

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