Il secondo episodio della seconda stagione di Daredevil si apre al mattino, mostrandoci le conseguenze di quanto avvenuto la notte precedente nel corso dell’attacco di Frank Castle all’ospedale in cui era ricoverato il criminale fuggitivo Grotto, scampato alla morte grazie al provvidenziale e coraggioso intervento di Karen Page, personaggio sempre più di maggior autorevolezza e spessore.

Mentre la polizia è impegnata a fare i rilievi del caso, ecco la prima sorpresa, rapida come un battito di ciglia: tra gli agenti presenti in loco notiamo per una frazione di secondo lo stesso Castle, vestito da poliziotto. Nessuno è in grado di riconoscerlo, e lui torna sul luogo della sua fallita missione per ragioni sconosciute, dimostrando di potersi mimetizzare al meglio tra la folla.

Gli eventi della nottata precedente hanno invece avuto conseguenze disastrose su Matt Murdock, colpito a bruciapelo in volto da un proiettile sparato dal violento vigilante. Daredevil è precipitato sul tetto di una palazzina da un edificio più alto, ed è privo di conoscenza: è riuscito ad avere salva la vita solo grazie alla protezione offerta dalla resistente maschera del suo costume, che comunque è stata danneggiata in maniera sensibile e sostanzialmente irreparabile. Il protagonista viene soccorso dal suo migliore amico, Foggy Nelson, che lo porta a casa. Proprio presso l’appartamento di Murdock va in scena il primo, acceso confronto tra i due avvocati: Foggy è visibilmente contrariato dalle azioni di Matt e manifesta il suo sconcerto, con il secondo che invece cerca di minimizzare, sebbene sia decisamente scosso dal primo faccia a faccia con Castle.

Subito dopo, presso la stazione di polizia di Hell’s Kitchen, Foggy raggiunge Karen che a sua volta portato in custodia Grotto. Va in scena un confronto tra i protagonisti e l’agente Mahoney. Proprio il giovane poliziotto menzione il Detective Clemons, apparso nella prima stagione di Jessica Jones (personaggio ha un suo corrispettivo nei fumetti Marvel, creato da Greg Rucka e Marco Checchetto) Questa citazione non è casuale: va a sottolineare ulteriormente quanto le serie Marvel di Netflix si svolgano nello stesso universo narrativo. Sempre Mahoney rivela poi che le forze dell’ordine sono a conoscenza da tempo dell’operato di questo nuovo vigilante, che lascia una densa scia di sangue dietro di sé: viene fatto il primo confronto tra Castle e Daredevil, che ne evidenzia le differenze di modus operandi, con il primo ben più violento e spietato del secondo. Come metodo di paragone per descrivere le sue azioni, viene citato Il Giustiziere della Notte (Death Wish), pellicola del 1974 diretta da Michael Winner.

Sempre in questa location conosciamo due nuovi personaggi della serie: si tratta della Procuratrice Distrettuale Samantha Reyes e del suo assistente Blake Tower. La Reyes è già apparsa nell’episodio finale della prima stagione di Jessica Jones. L’assistente di lei, invece, è il primo a rivelare il nome in codice affibbiato a Castle: The Punisher, il Punitore. Si scopre, inoltre, che questo è solo l’ultimo, nonché più efficace, vigilanti manifestatosi a New York dopo la comparsa di Daredevil. Prima di lui vi sono stati alcuni copycat che vengono definiti come “Adoratori del Diavolo”: tutti si sono rivelati essere una minaccia piuttosto esigua per le forze dell’ordine. Questa discussione è lo spunto ideale che porta poi all’analisi di un tema caro al fumetto supereroistico, specie quello con protagonisti giustizieri urbani: ci si chiede spesso, infatti, se la comparsa di eroi mascherati con determinati modus operandi, estetica, simbolismi e ideologie, come Daredevil, ma anche Batman, non funga da catalizzatore e pretesto perché altri individui, psicologicamente instabili, decidano di emularli, ricalcandone le orme o opponendosi a loro. Rimanendo in ambito DC Comics, vi è, per esempio, una corrente di pensiero che vede nella genesi di una figura del caos come quella di Joker una conseguenza dell’apparizione precedente del Cavaliere Oscuro, un giustiziere in maschera e mantello, che utilizza la simbologia del pipistrello per instillare terrore nei criminali, ritenuta da lui una razza “superstiziosa e codarda”.

Tornando all’episodio in questione, apprendiamo come il forte colpo ricevuto in testa da Matt Murdock abbia avuto delle serie conseguenze: il proiettile infatti, nonostante lo scudo rappresentato dalla maschera, ha prodotto un serio trauma cranico al protagonista, i cui sensi potenziati sono ora in tilt. Nel frattempo, Frank Castle ritorna in scena, alla ricerca di un apparecchio che gli consenta di intercettare le comunicazioni criptate della polizia: il Punitore si reca presso un negozio gestito da un brutto ceffo che smercia roba di contrabbando. Tutto sembra andare liscio sino a quando l’uomo non propone a Castle di acquistare DVD con contenuti pedo-pornografici, ed è qui che abbiamo la prima, chiara manifestazione del codice “morale” che pilota il modus operandi del personaggio: poco importava al Punitore che il titolare del negozio fosse un nazista (si veda il tatuaggio con una svastica alla base del collo) o impegnato in attività illegali, quello che conta è che ha fatto del male a degli innocenti, minorenni sfruttati per prestazioni sessuali. L’uomo farà quindi un incontro molto ravvicinato con una mazza da baseball.

Obiettivo seguente del Punitore sono i membri della gang dei Dogs of Hell, già conosciuti nel primo episodio, criminali e assassini che necessitano di essere puniti (da qui il titolo Cani a una sparatoria). Proprio l’inconscio desiderio di punizione è anche nella mente di Karen Page, la quale è silenziosamente in preda ai sensi di colpa per l’omicidio compiuto nella prima stagione, sebbene con importanti attenuanti. Il tutto, lo ricordiamo, senza sapere ancora quali altri scheletri nell’armadio abbia questo personaggio, che ha più volte fatto menzione di un passato oscuro dal quale è in fuga. Conoscendo le vicissitudini della sua controparte a fumetti possiamo aspettarci molte e drammatiche sorprese su questo fronte.

Nell’episodio fa ritorno anche il personaggio di Melvin Potter, individuo dissociato e con una psiche frammentata: era lui a confezionare gli “abiti speciali” di Kingpin, ed è sempre lui ad aver assemblato l’armatura da combattimento di Daredevil. Il protagonista si reca da Potter perché necessita di riparazioni al suo costume, e nel corso della discussione tra i due, Melvin impugna le iconiche lame rotanti che nei fumetti altro non sono che le “armi d’ordinanza” del villain noto come Gladiatore, uno degli avversari storici di Daredevil. Non escludiamo di vederlo in questa veste anche nella serie TV.

La conclusione dell’episodio è frizzante: con l’inganno, la Reyes ha convinto Foggy e Karen a usare Grotto come esca per il Punitore, il quale grazie alla possibilità di intercettare la polizia ha invece messo in atto una trappola nella quale i suoi avversari cadono con facilità. Il provvidenziale intervento di Daredevil riesce a salvare per la seconda volta consecutiva la vita al pentito criminale. Va dunque in scena un nuovo confronto sui tetti di Hell’s Kitchen che ricalca fedelmente quello narrato sulle pagine di Punisher di Garth Ennis, Steve Dillon e Jimmy Palmiotti. L’esito vede la sconfitta di Murdock, privo di coscienza e alla mercé del Punitore.

Un curiosità: nel corso dell’episodio, Foggy menziona il “grande cocomero di Charlie Brown“,  arguta citazione dei Peanuts di Charles Schulz.

 

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