Durante la conferenza Image Comics al ComicsPRO di Portland, Eric Stephenson, responsabile della principale etichetta di fumetto indipendente statunitense, ha tenuto un lungo discorso, in parte analisi dell’attuale situazione dell’editoria U.S.A., in parte lezione di storia dei momenti di crisi che essa ha affrontato con successo, senza, a suo modo di vedere, aver imparato ciò che quegli eventi avevano da insegnarle.

Nel lungo e appassionato discorso, che trovate in lingua originale a questo link, Stephenson ricorda al pubblico la stagnazione degli anni Cinquanta, vessati dalla censura e dalle preoccupazioni morali attorno ai fumetti, a cui l’industria rispose tarpandosi le ali tramite la rigorosa applicazione del Comics Code che limitò moltissimo le possibilità creative. Ai tempi, furono la nascita di Marvel Comics e il coraggio di proporre nuovi temi a rivitalizzare il settore per circa una decina d’anni.

Negli anni Settanta, un nuovo periodo di regressione delle vendite e dell’originalità delle storie fu affrontato tramite il proliferare del fumetto indipendente, dell’underground, di titoli come National Lampoon e Warren’s Creepy, Eerie e Vampirella, capaci di riportare una progressione nelle idee narrative, di affrontare nuovi temi con sguardo rinnovato e di cambiare, grazie al loro successo, il volto dell’intero mondo dei comics.

Nuovo nodo da affrontare: vengono meno le edicole come principale punto di distribuzione delle pubblicazioni e le vendite crollano in maniera verticale. Interi pacchi di albi vengono rispediti indietro agli editori, verso la metà degli anni Settanta, con prospettive di crollo del mercato. Il quale, però, dimostra di saper reagire, scoprendo il circuito della vendita diretta e dando vita al sistema dei negozi specializzati che, per la fine del decennio, è in grado di dare nuova prosperità al fumetto. Non solo al mainstream, ma a titoli come Cerebus ed Elfquest, alle nuove incarnazioni di maestri come Will Eisner, a quel che era la nascente graphic novel e a tutto un mondo di pubblicazioni indipendenti.

Il racconto di Stephenson, come gli eventi che illustra, è però terribilmente ciclico. Di nuovo, dopo che l’operato di autori come Alan Moore, Frank Miller, Art Spiegelman, Garth Ennis, Neil Gaiman e tanti altri ha ispirato nuova creatività e consentito al mondo dei comics di guadagnarsi il rispetto di una fetta di pubblico non prevista, grazie a temi e ambientazioni più mature che caratterizzano i nuovi prodotti, giunge la saturazione del mercato, negli anni Novanta, dopo il boom del fumetto indy in bianco e nero, capitanato da Teenage Mutant Ninja Turtles. L’ambiente torna alle sue caratteristiche peggiori, a cercare di attrarre il pubblico con troppe pubblicazioni e troppe copertine variant, metallizzate, esclusive. Mezzucci di marketing che, nel tentativo di tamponarla, peggiorano la crisi in assenza di idee.

Ma grazie a gestioni intelligenti, come quella della Marvel di Bill Jemas e Joe Quesada, a una nuova generazione di autori dalle grandi idee, come Craig Thompson, Marjane Satrapi, Warren Ellis, Mark Millar, Brian Michael Bendis, Grant Morrison, Brian Azzarello, Daniel Clowes, Chris Ware, grazie alla passione instancabile di grandi maestri come Moore, Gaiman e Morrison, il fumetto americano sarebbe tornato a rinascere e a macinare successi e, per la prima volta dagli anni Settanta, dall’epoca d’oro delle edicole, ad attrarre un pubblico molto ampio, quasi di massa. Secondo Stephenson, quella di cui stiamo vivendo la coda, è stata una nuova epoca di prosperità dei comics.

Soprattutto, si è raggiunto nuovamente, come prima degli anni Cinquanta, un risultato storico: il fumetto non è più relegato a intrattenimento per ragazzini, nella visione dell’opinione pubblica, ma gode di una consapevolezza tale da permettere di trovare sugli scaffali prodotti di ogni genere per ogni tipo di lettore, di qualunque età. Nuovamente, i comics sono per tutti. Trattasi di un’epoca d’oro? Sì. E no.

 

Come spesso succede “la migliore delle epoche è la peggiore delle epoche”. Non sapete quanti autori e disegnatori mi dicono che non hanno mai detestato tanto lavorare nell’industria dei comics come nell’ultimo anno. Lo sento dire sempre più spesso, soprattutto nei primi mesi del 2016. E non perché manchino le idee o non ci sia il talento adeguato in circolazione.

Con in giro gente come Jillian e Mariko Tamaki, Raina Telgemeier, Jeff Lemire, Nate Powell, Kieron Gillen e Jamie McKelvie, Jason Aaron, Marjorie Liu, Julia Wertz, Ron Wimberly, Matt Fraction, Ed Piskor, Fiona Staples, Kelly Sue DeConnick, Scott Snyder, Rick Remender, Erika Moen, Ming Doyle, è semplicemente impossibile non trovare del buon fumetto da leggere.

Le persone non hanno paura di mancanza di qualità, ma del fatto che il nostro mondo cada nuovamente preda dei suoi istinti peggiori: stiamo lasciando che l’ansia di profitto e l’avidità guidino le nostre azioni e stabiliscano il nostro futuro. Siamo sopravvissuti a tutte le crisi di cui sopra, ma non abbiamo imparato quale debba essere la giusta prospettiva. Ci preoccupiamo più di quel che ci manca che di quel che abbiamo.

 

Il che, secondo Stephenson, sta portando a comportamenti pericolosi. A sempre nuovi rilanci che si svuotano di senso per la loro durata brevissima. Alla preoccupazione costante di fornire ai lettori sempre nuove finestre d’entrata nelle serie, nell’illusione che rappresentino un’espansione del mercato. Ad annunci costanti di novità e a sempre nuovi numeri #1 che non fanno altro che gonfiare le vendite per breve tempo, senza creare un nuovo pubblico, senza ampliare lo spettro per il messaggio fumettistico.

 

L’unica cosa che realmente dovrebbe contare è il racconto di buone storie, fare del buon fumetto, fornire qualità ai lettori.

 

Un altro avviso di Stephenson ai suoi colleghi editori è quello di cercare, certamente, sempre nuovi mezzi con cui far giungere i comics ai lettori, da quello digitale sino all’attenzione crescente delle librerie di varia, ma senza mai perdere di vista il fatto che la rete delle fumetterie è stata negli anni, e deve rimanere, la principale risorsa di distribuzione per il mondo del fumetto americano. La scarsa valorizzazione che Stephenson intravede in questi ultimi tempi è una delle principali minacce, secondo lui, a un ulteriore progresso del mercato del fumetto.

 

Non pensate che io stia dicendo tutto questo, criticando in parte la mia e certamente anche altre case editrici, per fare concorrenza. Questo è il mio ventiquattresimo anno di lavoro nel settore e posso garantirvi una cosa: io adoro il fumetto. Voglio che tutti lavorino di più e meglio. Non è sempre facile trovare le forze per attirare l’attenzione su argomenti di lungo respiro e sui rischi che stiamo correndo, ma voglio farlo qui, perché vedo il ritorno di comportamenti che in passato hanno ferito tutti noi. Tutti facciamo cose buone, a volte, e tutti sbagliamo. Ma certamente, tutti quanti possiamo fare meglio.

 

 

Fonte: Newsarama