Neil Gaiman parla di David Bowie al Museo d’Arte Contemporanea di Chicago. O meglio, legge un racconto a lui interamente dedicato. Ultima giornata, quella del 4 gennaio scorso, di una mostra dedicata al Duca Bianco e intitolata David Bowie Is. Un artista pop tra i più rappresentativi della seconda metà del Novecento e l’amatissimo scrittore britannico che lo ama da sempre: un successo annunciato e scontato che il Chicago Tribune ha voluto accompagnare con un’intervista a Gaiman, che vi riproponiamo nei suoi passaggi più interessanti all’indomani della scomparsa di David Bowie.

 

Trigger Warning 04Si tratta di un vecchio racconto che ho iniziato circa nel 2004, intitolato The return of the thin white duke. Si compone di due parti. Ho finito questa per Trigger Warning, la mia nuova raccolta, ma la prima era realizzata con il disegnatore Yoshitaka Amano, a cui sono state commissionate delle immagini per un magazine che si chiama V. Le sue immagini rappresentavano Bowie e sua moglie Iman come personaggi di fantascienza. Sulla loro base mi fu chiesto di scrivere una storia che finì per raccontare la loro storia in una New York del futuro.

Ma la scelta di Bowie era stata perfetta, perché è stato di enorme importanza per me sin da quando ero un bambino. Mi ricordo quando ascoltavo Space Oddity a undici anni, di quando corsi a comprare Hunky Dory, dell’eccitazione per il suo disco Diamond Dogs… L’iconografia di Bowie e il suo aspetto, per Neil ragazzino, erano assoluta magia e, diventando più vecchio e imparando ad apprezzarlo come artista, ha continuato ad apparirmi bizzarro e potentissimo. Gli devo così tanto. Mi sono sempre interessato alle cose che interessavano a lui.

C’è questa sua canzone, Queen Bitch. Nelle note al disco, ringrazia VU per quel pezzo. Ho scoperto che intendeva Velvet Underground, quindi mi sono comprato i loro dischi e ho conosciuto tramite lui Lou Reed. Bowie si descriveva come una fotocopiatrice dell’umano e io ho scoperto un sacco di musica e di arte che avrei del tutto ignorato se lui non fosse stato una fotocopiatrice dell’umano.

Fu l’ispirazione per il personaggio di Lucifero in Sandman. Quando venne lanciato il suo fumetto personale, lo cambiarono molto, ma il giovane Bowie del periodo folk ne era il modello. Ho sempre immaginato Lucifero come un angelo tossicodipendente e Bowie è la cosa più simile che avessi a disposizione.

 

Qualche breve dichiarazione viene dedicata a un video che gira per YouTube in cui Gaiman interpreta, assieme alla moglie Amanda Palmer, una scena del film Labirynth, nella parte che fu di Bowie. Non servono parole. Preferiamo semplicemente linkarvelo qui.

 

Il figlio di David, Duncan [Jones, regista di Moon – NdR], è un mio ottimo amico e Bowie stesso ha detto cose molto belle sui miei libri, in passato. Ma io ho fatto di tutto per evitarlo. Non ho molti eroi, nella mia vita. Sondheim, Elvis Costello, Bowie e mi voglio sforzare di non incontrarli mai.

 

Tristemente, Neil, non hai dovuto sforzarti poi molto. Il racconto The return of the thin white duke, di cui si parla in questo articolo, è leggibile sul sito ufficiale dell’autore britannico a questo link.

 

 

 

Fonte: Chicago Tribune