Ecco la nostra lunga chiacchierata con Elena Casagrande, una delle matite italiane più apprezzate nel mondo dei comics degli ultimi anni, che abbiamo incontrato a Milano, il 19 dicembre, impegnata nella promozione del suo Suicide Risk, su testi di Mike Carey. BAO Publishing, che pubblica la serie in Italia, ci ha ospitati negli spazi del suo temporary store BAO Boutique e, come di consueto, ne ringraziamo lo staff per la disponibilità. Soprattutto, grazie a Elena Casagrande.

Nell’intervista che leggerete non possiamo inserire tutte le risate e i sorrisi che l’artista laziale regala a profusione, dimostrandosi una delle professioniste del fumetto più simpatiche che ci sia capitato di incontrare. Metteteceli voi.

 

Buongiorno, Elena. Ormai sei ufficialmente una veterana del fumetto americano, quindi la prima domanda, che segue i complimenti per Suicide Risk che ho letto e mi ha decisamente convinto, è questa: dopo aver lavorato un po’ con la Marvel, sei passata a un prodotto BOOM! Studios. Quali differenze? Pregi e difetti di quest’esperienza?

Elena Casagrande e Matteo Scalera alla BAO Boutique

Elena Casagrande e Matteo Scalera alla BAO Boutique

La principale differenza è che qui siamo di fronte a un prodotto che ho creato da zero, mentre alla Marvel avevo in mano personaggi iconici a livello mondiale. In quel caso l’ansia da prestazione s’è fatta sentire, mentre qui, avendo libertà completa mi sono divertita come una matta, dando sfogo a tutta la mia creatività.

Hai avuto modo di lavorare con Mike Carey, un autore che lascia un’impronta molto forte sulle sue opere. Qual è stato il rapporto con lui? Dà indicazioni molto precise?

Guarda, lui è innnanzitutto molto piacevole come persona. Ma poi devo dire che lavorare insieme è stato molto bello perché, non so se c’entri un’affinità personale o caratteriale, ha un modo di scrivere che mi permette di immaginare immediatamente quello che devo fare dopo una lettura veloce senza dovermi abbarbicare in traduzioni o documentazioni lunghissime. Mi sono divertita perché eravamo davvero molto in sintonia. Leggevo la sceneggiatura e avevo già chiaro in testa come si sarebbe sviluppata la storia su carta. Non so se sia dovuto allo stile molto televisivo…

…stai anticipando gli argomenti di tutte le domande che ho preparato, lo sai?

[ride] Scusami tanto. Comunque, essendo io una divoratrice di serie TV,  probabilmente riesco a capirlo molto in fretta. Comunque devo dire che quando avevo dubbi chiedevo a lui, che si è dimostrato sempre molto disponibile. Mi arrivavano i suoi complimenti quando qualche mia sequenza gli piaceva in modo particolare. Mike è davvero un gentleman.

Come hai in qualche modo anticipato, io ho trovato Suicide Risk da un lato molto televisivo, per una fase, dall’altro soprattutto molto cinematografico. Visti i tempi in cui siamo, non si sa mai.

Esatto. Non si sa mai anche perché, non so se siete informati, ma la BOOM! ha stretti rapporti contrattuali con la Fox.

Sì, siamo informati. Quindi che effetto ti farebbe vedere una cosa tua sul piccolo o sul grande schermo?

Suicide Risk #21, copertina di Elena CasagrandeNon lo so. Ci ho fantasticato talmente tanto. Essere dall’altra parte dell’oceano e vedere i prodotti dei colleghi trasposti in TV o al cinema, sapere che Mike sarebbe interessato, che già ha avuto contatti… Tieni conto che per creare i personaggi di Suicide Risk ho preso a riferimento attori effettivamente esistenti, mi ero già fatta il mio cast in testa. Poi è chiaro che la possibilità dipende da diverse cose, in primis da Mike che sta già collaborando a un film tratto da un suo libro. Poi dipende anche dal mercato: c’è sempre il rischio che una serie somigli troppo a qualcosa di già uscito nelle sale o in TV. Però, la possibilità c’è e saperlo fa decisamente effetto.

Suicide Risk è una storia di supereroi, ma è anche tanta fantascienza distopica da un lato e una specie di crime story dall’altro. Quali riferimenti hai preso, durante il tuo lavoro, anche in termini di cultura popolare, se ce ne sono?

Ma, guarda, il fatto è che all’inizio il sapore della storia era proprio quello di una serie TV moderna. Quindi le mie ispirazioni, consapevoli o meno, credo siano venute da quell’ambito lì. Poi, nel momento della svolta narrativa importante, secondo me il tutto prende un’identità molto più cinematografica, da film. Se ci pensi, dati gli effetti speciali che richiederebbe una trasposizione, anche per una questione di budget, sarebbe meglio trarne uno o più film, piuttosto che una serie.

Non vogliamo fare la fine di Powers, vero?

[ride] Esatto!

E quindi, restando in argomento, quali attori avevi in mente?

Il personaggio principale, Leo, è studiato sulle fattezze di Timothy Olyphant, il protagonista di Justified. Diva è l’attrice che interpreta Black Canary in Arrow, Katie Cassidy. Dottor Forse è Charles Dance, Tywin Lannister del Trono di Spade. Suni, la moglie di Leo, è un’attrice di origini indiane che ho conosciuto con True Blood, Janina Gavankar.

Cambiando, argomento, Elena, tu hai una storia di artista di grande evoluzione stilistica e costante lavoro su te stessa. Hai mai avuto, negli anni in cui cercavi e trovavi un’identità artistica, la sensazione che la tua destinazione fosse al di là dell’Oceano Atlantico, come poi s’è rivelata?

Doctor Who #3, copertina di Elena CasagrandeAssolutamente no, guarda. Io ho intrapreso questa carriera per scommessa, per gioco, senza pensare che potesse essere il mio lavoro. In più sono partita con la passione per i manga, quindi figurati. Solo dopo la Scuola di Comics ho conosciuto stili che mi hanno indirizzata più verso il gusto americano, per cui ho iniziato a lavorare poi come assistente di David Messina. Si è trattata di una conseguenza, del bisogno di adattarmi al mercato degli U.S.A. Se io dovessi dirti quanto è cambiato il mio stile dagli esordi, direi che il 70% delle cose che faccio sono diverse da allora.

Eppure c’è una continuità stilistica nei tuoi lavori professionali. Se penso a Suicide Risk e faccio sforzo di memoria, rivedendoti su Ultimate Spider-Man o su Doctor Who, trovo degli elementi riconoscibili.

Però, questa cosa la vedete voi, da fuori. Io devo ammettere che, guardando altri autori che riconosco subito, un po’ mi prende l’ansia e mi sembra di non avere uno stile mio. Anche perché, non so se sia una questione di divertimento personale e di piacere del cambiamento, ma tendo a non ripetermi più di tanto.

Il che è evidente anche nelle tue scelte.

Gli ultimi numeri di Suicide Risk, li ho disegnati mentre lavoravo su Doctor Who. Mi accorgevo, lavorando contemporaneamente a due prodotti, di avere due approcci completamente diversi su una serie e sull’altra, anche una manualità differente. Non è stata una scelta ponderata, non mi sono messa a tavolino a decidere come avrei fatto certe cose piuttosto che altre, ma un processo naturale. Suicide Risk, quasi due anni prima, rappresentava la possibilità di fare totalmente quel che volevo, mentre Doctor Who, essendo di nuovo un prodotto su licenza, mi ha spinta a un approccio più pulito, che mi permettesse dei riferimenti estetici più precisi agli attori della serie TV. Però gli altri, i colleghi, i lettori, mi dicono che sono riconoscibili. Un collega, ultimamente, mi ha chiesto come faccia a rimanere me stessa pur cambiando così tanto.

Appunto. Direi che si tratta di una caratteristica ammirevole e abbastanza evidente in ciò che fai. A proposito di una cosa che hai appena detto, invece, voglio farti una domanda a cui in parte ha già risposto: mi hai parlato della gioia di creare da zero il mondo di Suicide Risk. Ma è più il divertimento o la fatica?

Elena CasagrandeTi dirò… si equivalgono. Il divertimento è frutto di quella voglia di ogni fumettista di metterci del suo e di creare nel vero senso della parola. La fatica sta nel dare una credibilità a quel che si partorisce e nel rispetto delle direttive che si hanno da parte dello sceneggiatore. Nel mio caso, una difficoltà aggiuntiva è anche il rispetto delle tempistiche. Il mio problema con Suicide Risk è stato affrontare il lavoro da fan della serie, non volevo sapere niente della storia successiva prima di aver finito di disegnare la precedente. Insomma, ho voluto essere una disegnatrice no spoiler, il che mi ha impedito di portarmi avanti col lavoro, rischiando gli imprevisti e i blocchi ogni volta. Però, devo dire che le indicazioni di Mike sono sempre state di grandissimo aiuto.

Domanda quasi finale e un po’ strana, perché ti chiedo di dirmi la tua su un argomento che a me sta molto a cuore e magari a te lascia indifferente. Ormai di disegnatori italiani negli U.S.A. ce ne sono parecchi… ma niente sceneggiatori. Eppure negli anni Ottanta facevamo scuola e moltissimi che hanno cambiato il volto dei comics hanno ammesso, negli anni, di aver tratto il loro spirito innovatore da quel che raccontavamo noi, dai Tamburini, dagli Sclavi. Secondo te matureranno i tempi anche per i narratori?

Non lo so, sono dubbiosa. Perché non credo che ci sia meno attenzione di un tempo al nostro mercato, piuttosto una forma di tutela verso il loro, soprattutto in alcuni settori. Questo mestiere è diventato di moda, negli ultimi anni e ci sono sempre più ragazzi, in tutto il mondo, che ci provano. Loro ricevono molte più offerte di quante ne possano assorbire. Tanti, ricevono apprezzamenti, ma vengono messi in stand-by, anche tra i disegnatori. Soprattutto se vieni dall’estero, magari ti dicono che sei bravo, ma per ora preferiscono dare lavoro a chi è già nel cricuito o pescare dal serbatoio interno. Con gli sceneggiatori è ancora più difficile, anche per questioni pratiche. Un conto è sfogliare un portfolio grafico, un conto leggere una sceneggiatura, con anche lo stacco della lingua. A intuito, direi che non succederà molto presto.

Sì, lo penso anche io. Ma magari tu, da dentro, potevi avere una prospettiva diversa. Chissà. Invece, una domanda molto terra terra. Mike Carey è un grande di oggi e lo hai messo in cascina. Con quali suoi colleghi della stessa generazione vorresti lavorare e con chi, invece, di una o due generazioni fa, in termini di sceneggiatori?

Elena CasagrandeDella veccchia generazione, non saprei. Diciamo… Delano? Il mio sogno di sempre era disegnare Hellblazer.

Aah! Be’, chissà che non capiti.

Non lo so se vorrei ancora farlo, sai?

Giusto. Tu sogni di disegnare Hellblazer, mentre ora ti toccherebbe disegnare Constantine.

[ride] Bravo! Esatto. Invece una persona con cui vorrei lavorare, anche perché ho avuto la fortuna di conoscerlo, è Brian Azzarello. Mai dire mai.

E invece, qual è il personaggio femminile, visto che c’è stata questo ritorno in grande stile delle donne protagoniste del fumetto, che ti piacerebbe disegnare? La tua preferita?

Poison Ivy, forse. Sicuramente una villain, che mi attraggono di più.