Le due personalità meno fumettistiche approdate alla nona arte negli ultimi anni, si confrontano con il loro nuovo pubblico in un incontro alla Chiesa dei Servi di Lucca. Fabrizio Biggio e Immanuel Casto, rispettivamente autori per Magic Press di Pene e Vagina e Squillo – The Comic, parlano della loro presa di contatto con il fumetto, moderati da Don Alemanno.

 

Casto – Ho sempre voluto diventare fumettista, da ragazzino ero avido lettore soprattutto di manga. Dopo la creazione di Squillo, avevo a disposizione un universo narrativo e ho quindi deciso di raccontare con un fumetto le porno disavventure di Deborah, giovane di un call center che decide di dare una svolta alla sua vita prostituendosi. Qui a Lucca esce l’espansione del gioco di Squillo: dopo le prime tre scatole parte una nuova trilogia chiamata Time Travels, alla scoperta della prostituzione nella storia. Si parte con Satiri e Baccanti ambientato nel mondo greco, si prosegue con il medievale Megere e Meretrici, per chiudere con il futuribile Deep Space 69.

Biggio – L’idea delle avventure di Pene e Vagina è nata per amore. Ho sempre fatto fumetti e alla mia fidanzata di allora, che lavorava ad MTV come me e ora è madre dei miei due figli, facevo queste vignette spiritose, che le lasciavo su dei bigliettini sulla scrivania. Poi la produttrice di Loveline mi chiese se volevo farene dei piccoli filmati animati di educazione sessuale. Per me il sesso è un argomento interessante per capire il mondo e mi son trovato ad esplorarlo tramite una coppia di organi genitali.

Ora riprenderli significa tornare a respirare aria sana dopo quella pesante del cinema e della tv. Quando uno ha voglia di raccontare qualcosa non importa il medium, finché c’è qualcun’altro che abbia voglia di ascoltarlo. Il mondo del fumetto mi diverte molto e spero che apprezzerete.

Il discorso ha quindi deviato sul concetto di satira, che accomuna i tre autori al di là del mondo a strisce.

Casto – Io non faccio musica di denuncia, piuttosto di satira. Metto a nudo situazioni grottesche, come quella di un ottantenne che vuole stare con una sedicenne. Le vivo in prima persona nei miei video per mettere meglio in mostra la situazione. Mi è capitato spesso di venire frainteso, perché di fatto io dico una cosa per comunicare esattamente il contrario, tramite il meccanismo dell’antifrasi. Spesso pensano che io invece sia a favore della prostituzione, dei disturbi alimentari. Nella mia visione, però, la satira è proprio questo, di solito satira di costume. Non tutti capiscono, ma sono lusingato dall’intelligenza dei miei fan.

Quel che non capisco è l’accanimento di alcuni. È più che legittimo non piacere, ma l’odio verso il personaggio è ingiustificato. Mi considero amato da molti, ma odiato da molti altri e proprio non comprendo. Sprecherei mai due minuti del mio tempo per guardare quel che fanno le persone che non apprezzo e insultarle per questo? Assolutamente no.

Ai tre è quindi stato chiesto quale fumettista di rottura li abbia ispirati a frequentare il tema della satira.

Biggio – L’autore che ho letto e mi ha aperto gli occhi su quanto potesse essere potente il mezzo del fumetto è Andrea Pazienza, che sapeva passare dalla profondità alla stupidaggine mantenendo la poetica dell’artista, che è ciò che lo distingue dall’artigiano. Pazienza, che tra l’altro faceva anche le strisce, mi ha messo addosso la voglia di iniziare a disegnare per raccontare.

Don – Io sono un lettore di fumetti molto superficiale: non sono la mia passione, non ho mai voluto essere un fumettista. Ho iniziato a disegnare tra una telefonata e l’altra del mio vecchio lavoro, quello di assistente informatico di call-center. Il successo è stato casuale. Non sono quindi in grado di dire quale fumetto possa essere la svolta. Di italiano, a parte Rat-Man non ho letto quasi nulla. Tanino Liberatore l’ho conosciuto a cena, senza sapere chi fosse. Stessa cosa con Claudio Villa.

Casto – Anche da fruitore, ho conosciuto artisti di rottura nel mondo del fumetto, ma traslerei la domanda sugli anni Settanta e Ottanta e nell’ambito musicale. Al di là dei meravigliosi Elio e le Storie Tese, penso alla Rettore, a Ivan Cattaneo, a Malgioglio, a Giò Squillo, al primo Renato Zero. Usavano l’ironia con grande libertà, affrontando temi e linguaggi per nulla politicamente corretti, e lo facevano con i piedi ben piantati nel mainstream. Oggi difficilmente accade. Bisogna recuperare quell’anticonformismo di quegli anni.