Grazie alla disponibilità dello staff Panini a Lucca Comics & Games 2015, abbiamo avuto l’occasione di fare quattro chiacchiere con uno dei più importanti autori del panorama fumettistico italiano. Davide Toffolo. Presente in fiera per promuovere la riedizione di Cinque Allegri Ragazzi Morti e le loro storie inedite che ci aspettano in futuro, Davide ha trovato il tempo per sedersi assieme a noi e parlare della sua carriera, delle sue influenze e del suo posto nel fumetto di oggi. Si ringraziano per la disponibilità concessaci, ormai fortunatamente abituale, Stefania Simonini ed Enrico Ferraresi.

 

Cinque allegri ragazzi morti 0Allora Davide, direi di iniziare dalle cose serie. Sei contento che finalmente sia arrivando la nuova stagione di Adventure Time?

Ah ah ah! Sì, in effetti sono un lettore e uno spettatore. Si tratta di una delle cose che apprezzo di più in giro, in questo periodo.

Sì, ce l’hai spiegato in altre occasioni e ho realizzato che in effetti c’è una certa connessione tra quella notevole serie animata e il tuo fumetto. In carriera hai sempre trovato il modo di tenere insieme influenze disparate: dalla scuola del fumetto di una certa Bologna al mainstream americano, passando per le influenze manga degli anni Novanta. E Adventure Time fa altrettanto, risultando uno degli esempi di narrazione “post-post-moderna” più eclatanti di sempre.

Sì, è come dici tu. Forse è il fatto di essere nato in una situazione in cui potevo intercettare molti aspetti dell’immaginario collettivo, magari con la volontà di tenere insieme tanti spunti, di tenere aperte le visioni sulle componenti più intime e personali del fumetto da una parte, ma allo stesso tempo quella più avventurosa. Ecco perché anche io sono diventato un fan di Adventure Time. Anzi ho anche disegnato una copertina che chissà se riuscirò a mostrarvi, prima o poi. Una cover lenticolare in cui il mondo maschile e femminile si alternano a seconda del movimento della lente, che è un tema interessante della serie.

Parliamo più direttamente di Cinque Allegri Ragazzi Morti. Sei tornato a pubblicarlo dopo parecchio tempo e poi a pensare a storie inedite. Avevi qualcosa da raccontare di cui ti era rimasta la necessità, oppure sei stato contagiato, anche nella formulazione di nuove storie, dall’entusiasmo degli editor Panini che ti hanno convinto, col loro affetto, alla riedizione delle storie originali?

I Ragazzi Morti sono, secondo me, la mia idea mainstream più riuscita di fumetto seriale. Certo, in Italia non è facile trovare uno spazio per fare questa cosa e per quasi quindici anni non l’ho fatta, anche perché ho preso un’altra direzione e sono stato uno dei primi a scrivere graphic novel in questo Paese. Ma questa che è giunta con Panini mi sembrava un’occasione interessante, perché il tempo passato ha fatto sì che i miei personaggi avessero qualcosa da dire su cosa sia diventata l’Italia. Una volta Igort ha visto i lavori che facevo sui Ragazzi Morti e mi ha detto che gli sembravano una specie di folle diario di quel che mi stava succedendo e, in parte, aveva ragione. Spero di riuscire a farlo anche ora, con queste storie nuove che partono, a secco, quindici anni dopo le originali, tutte ambientate a Milano, simile a quella di oggi ma completamente sudamericanizzata. Ci saranno molti elementi dell’immaginario collettivo occidentale, gli archetipi dell’uomo lupo, degli zombi, ma anche molti altri da tutto il mondo. Dai fantasmi cinesi agli spiriti del Maghreb.

I Ragazzi Morti sono cambiati in questi quindici anni? E il messaggio che si portano dietro? Negli anni Novanta parlavi di giovani zombi di quei tempi, che trovavano nella non-morte il luogo di espressione delle loro energie positive. La zombificazione del 2015 è la stessa di fine millennio scorso? Com’è cambiato il tuo rapporto con le giovani generazioni di allora?

Guarda, il mio punto di vista è solo mio. Non son sicuro di essere riuscito a raccontare i giovani degli anni Novanta, ai tempi. Rileggendo adesso le storie, mi viene da pensare che sia vero. Per quanto riguarda quel che succederà nelle storie nuove, posso dirti che ci sarà uno soltanto dei Ragazzi Morti, Gianni Boy. Lo vedremo nel tentativo di rimettere insieme il gruppo, con delle difficoltà reali. E certamente non potrò fare a meno di un’altra novità, che ha a che fare con i tempi e come sono cambiati: di realtà ormai non ce n’è più una sola, ma sono diventate di più, almeno due. Credo sia questa la cifra della distanza tra i giovani di quindici anni fa e quelli di oggi.

Parlando invece di te come autore e delle tue abitudini, abbiamo tutti quanti letto il tuo oroscopo spassosissimo sulle pagine della riedizione dei Ragazzi Morti. Non sei tentato dall’estemporaneità creativa, dalla strip, dalla vignetta, da qualcosa di veloce e divertente? Non voglio usare la parola blog, perché non ti ci vedo, ma questo esperimento con qualcosa di così breve e diretto andato così bene non ti tenta?

In modo disorganico su Facebook lo faccio già: ho un rapporto molto mordi e fuggi e poco costante con il mio pubblico, attraverso piccole idee che propongo. Ma tra poco aprirà il mio sito internet, che non ho mai avuto. Sarà quasi esclusivamente un sito di vendita, su cui potrete acquistare qualche originale e la mia produzione di serigrafie, stampe speciali e cose del genere. Lì sono tentato di lanciarmi con una pagina dove pubblicare qualcosa di veloce solo per il web, anche perché, come tutti, mi sono in qualche modo legato a quel maledetto computer. Effettivamente, quando ci sono delle idee estemporanee ho sempre provato a metterle in gioco e ora vorrei, se riesco, dare una forma un po’ più organica a queste cose. Anche perché ho sperimentato che, quando mi spendo in prima persona, il gradimento è molto alto.

Pasolini Davide ToffoloA proposito di cose a cui sei legato, esce Pasolini per Lizard, tra poco. Un’altra riedizione di una tua storia, pubblicata originalmente col titolo di Intervista a Pasolini, per Coconino.

Quel libro risale agli inizi della mia esperienza di autore di graphic novel, a un tempo in cui in Italia si credeva che fosse impossibile venderne. Coconino è stato il primo editore con un’idea precisa di collana di fumetti di quel genere, messa insieme da Igort.

Qual è il tuo legame col personaggio di Pasolini?

In questi giorni che ricorre il quarantennale della morte mi è stato chiesto molte volte. Mi interrogo anche io su quanto sia stato importante per me, personalmente, quel libro e lui come personaggio. Il fumetto lo scrissi con l’intento preciso di cercare di capire cosa volesse dire spendere la propria vita nel mestiere della scrittura. Io lo faccio in media come quello musicale e fumettistico, non nella letteratura o nella prosa, ma mi sono speso moltissimo per la scrittura. Dodici anni fa, per me Pasolini era lo specchio di questo sforzo di dedizione per l’arte delle parole. Poi, quando cerchi di utilizzare le parole e i pensieri di un personaggio come lui all’interno di una struttura narrativa, quel che recuperi è sempre arbitrario. Quindi non mi sento di essere la persona giusta per dire che cosa Pasolini abbia raccontato o cosa direbbe oggi. Molti me lo chiedono, ma io non ho proprio idea di cosa direbbe.

Infatti, guardacaso, la mia domanda è proprio all’opposto. Dato che era anche un autore molto profetico, guardandoci indietro, possiamo dire che Pasolini sia stato un buon oracolo?

Credo di sì, su certe cose. Soprattutto sul tema della disumanizzazione di tutti noi, in certi termini. Del resto i grandi intellettuali hanno la capacità di interpretare il loro tempo con largo anticipo e di proiettare quella visione verso il futuro. Ovvio che il pensiero di Pasolini era legato a una visione molto novecentesca, a paradigmi e ideologie che difficilmente puoi traslare nella nostra epoca. Quel che per me rimane interessante di lui è il metodo. Quando dice che un autore, per essere libero, deve rimanere una contestazione vivente, rimanere fuori dal potere, afferma una grande verità che mi è sempre rimasta dentro, per tutti gli anni della mia carriera. Il metodo pasoliniano, in questo senso, rimane sempre un riferimento interessante per chi fa un lavoro come il mio, per chi guarda il mondo e deve farlo, per mestiere e per vocazione, nel modo più lucido possibile.