Proprio Dragotta, che ha illustrato Superman: American Alien #1, ha parlato con Newsarama del suo lavoro e della natura di questa miniserie di sette capitoli, ognuno narrativamente indipendente dall’altro, ma tutti connessi da un filo rosso comune, che risiede nella natura stessa del personaggio di Superman. Dragotta è partito, ovviamente, dall’origine di questo progetto:
Il progetto mi è stato proposto dall’editor Alex Antone, che continuava a chiedermi di realizzare qualcosa per DC Comics. Al tempo, stavo lavorando su East of West, e gli dissi che se avessi avuto un momento di pausa, avrei lavorato a questo fumetto, perché mi sembrava davvero adatto. Nel solo sentirne le premesse, pensai fosse una gran figata, specie grazie al lavoro di Max Landis. E poi mi fu comunicata anche la lista di artisti che vi avrebbero lavorato, oltre me. Ho accettato ancor prima di leggere la sceneggiatura.
Il disegnatore ha poi raccontato cosa è accaduto nel momento in cui ha letto lo script e ha iniziato a lavorare alle tavole della storia:
Volevo realizzare un giovane protagonista con il quale fosse facile identificarsi. Non è un Superman in germe, ma un ragazzo come tanti, i cui occhi riflettono le proprie emozioni. Sono cresciuto in una fattoria del New Jersey, motivo per il quale è stato davvero bello lavorare su uno script le cui scene si svolgono in campi di mais: questo scenario mi è davvero familiare.
Dragotta ha poi discusso di quale sarà il tono di questa storia:
Max mi disse che ci sarebbero state sette uscite di American Alien, e che voleva che la prima fosse la più innocente. Ha fatto un preciso riferimento: voleva che questa storia fosse graficamente simile ai film della Pixar. E, sapete, i film della Pixar mi commuovono sempre: ti emozionano sempre tantissimo perché riescono a rappresentare i personaggi in un modo così credibile grazie al quale è facilissimo identificarsi in loro. Penso però che la serie diverrà sempre più oscura, nel corso delle uscite.
Dragotta ha poi discusso delle dinamiche lavorative condivise con Landis:
È stato come lavorare su una sceneggiatura di un film: era tutta dialoghi e scene. Quello che è davvero bello riguardo il lavorare con Max è che lui lascia all’artista la libertà di imprimere il suo marchio. Ho avuto la facoltà di aggiungere vignette, o di toglierne: di fare qualsiasi cosa volessi. Lui mi ha dato giusto una direzione: dovevo arrivare dal punto A al punto B, ma nel mezzo potevo scegliere la mia strada. È sicuramente la dinamica lavorativa ideale. Inoltre, Max è davvero un appassionato e questo è un aspetto importantissimo quando si lavora con uno scrittore: la sua mente è piena di idee straordinarie.
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