Daredevil sembra avere tracciato il percorso ottimale che un personaggio dei fumetti dovrebbe seguire nella trasposizione sul piccolo schermo. Difficile ipotizzare se altri contendenti riusciranno a bissare il successo di pubblico e di critica raggiunto dalla serie di Netflix, ma di certo sappiamo chi sarà uno dei prossimi contendente a provarci: Iron Fist, al secolo Danny Rand, esperto di arti marziali dall’animo tormentato.

A ridefinire la storia di Pugno d’acciaio ci ha pensato Kaare Andrews, che nella miniserie Iron Fist: The Living Weapon ha posto le basi per quella che potrebbe essere la versione del personaggio di Netflix, e lo ha fatto con la costanza e la perseveranza degna del miglior maestro di arti marziali, sceneggiando, disegnando, inchiostrando e colorando personalmente tutti e dodici i numeri della pubblicazione.

Ora che l’opera è completa, Andrews si volta indietro a riflettere e a commentare quanto ha realizzato.

 

Iron Fist sketch 1

Non è un segreto che esistono due finali per questa storia. Quello che avevo in mente in origine era un più malinconico, più dimesso. Aveva un tono e un’atmosfera particolare, un risultato emotivo che mi ero prefisso di raggiungere fin dall’inizio.

Sapevo che effetto e che aspetto doveva avere, il messaggio che volevo trasmettere e ogni pagina che creavo era un passo avanti verso quel finale. Ma poi ho scoperto che, una volta giunti alle ultime pagine, il risultato che volevo ottenere in realtà lo avevo già ottenuto.

Così ho capito che il finale vero e proprio doveva essere invece una sorta di illuminazione o di riflessione, un cambiamento in risposta al manifestarsi del finale prefissato. Potremmo definirlo un vero e proprio caso di crescita creativa.

Iron Fist sketch 2

Non sono mai stato un fan dei finali dei film degli anni 70, dove la storia si concludeva bruscamente una volta che l’antagonista veniva sconfitto. Forse all’epoca era un meccanismo sconvolgente e coraggioso, ma nei tempi lunghi risultava insoddisfacente. E poi inizia ad annoiarmi la classica struttura “in tre atti” dei film. Credo sia una strada ormai troppo percorsa.

Se esaminiamo Shakespeare, notiamo che utilizza in genere una struttura in cinque atti dove il culmine giunge al quarto. Poi un intero atto e riservato a tirare le fila della storia e a trasmettere il messaggio morale dell’opera. Iron Fist non è il mio primo tentativo di riprodurre la struttura shakespeariana, ma in un certo senso è il più consapevole.

Il culmine “esterno” avviene nel numero #11, in cui Danny combatte contro un dio nel senso letterale del termina, ma il culmine interiore si risolve nel numero #12, con il suo faccia a faccia con Brenda. Mi è piaciuto il ritmo che ne è risultato e sono rimasto sorpreso della reazione entusiasta all’ultimo numero.

Iron Fist sketch 3

Un altro obiettivo che mi ero posto era di trasformare Iron Fist in una figura paterna di qualche tipo, un’idea che trovavo interessante. È qualcosa a cui si sottopone ogni esperto di arti marziali, il viaggio da discepolo a maestro. E un maestro ha bisogno di studenti.

Danny aveva evitato ogni tipo di vera crescita tuffandosi nel mondo degli uomini alla ricerca della sua vendetta e rimanendo laggiù. Da allora non aveva mai fatto ritorno a K’un L’un nel vero senso del termine. Assegnargli uno studente da addestrare sulla Terra è stato un segno di crescita, di cambiamento e di accettazione delle sue responsabilità.

E poi mi interessava l’idea di avere un personaggio da mettere in contrapposizione al giovane Danny. Un giovane monaco, Pei, inviato ad addestrarsi nel mondo occidentale creava una buona contrapposizione al viaggio intrapreso da Danny; volevo concludere la storia in un modo che non fosse un ritorno al solito status quo.

Nel concludere la storia, il personaggio di Brenda si è rivelato fondamentale: è lei che ci offre un punto di vista diverso sugli eventi che hanno creato Danny. Il mio momento preferito della serie è forse la pagina finale con Danny e Brenda. Creativamente, è stato un momento di appagamento atteso da tempo, e ho cercato di disegnare un’immagine che parlasse da sola: qualcosa che riassumesse l’essenza di una storia durata 12 numeri in una singola vignetta.

 

Fonte: Newsarama