Giovedì scorso si è svolto l’incontro tra Dylan Horrocks e Zerocalcare a Milano, terzo di una serie di occasioni in cui l’autore neozelandese di Hicksville ha presentato al pubblico italiano Sam Zabel e la Penna Magica, la sua graphic novel edita da BAO Publishing. Grazie alla disponibilità dello staff BAO abbiamo potuto intervistare il gentilissimo fumettista negli uffici della casa editrice.

Ecco cosa ci ha raccontato uno degli autori più interessanti e consapevoli del mezzo fumettistico che ci sia capitato di incrociare da lettori negli ultimi quindici anni.

 

Dylan HorrocksGrazie mille mr. Horrocks per il tuo tempo. Abbiamo letto da pochissimo Sam Zabel e la Penna Magica, che ci è molto piaciuto, e abbiamo alcune domande su questo lavoro così particolare. Rispetto a Hicksville, che condivide con la nuova opera molti temi oltre al protagonista, il cambiamento più evidente in Sam Zabel è la presenza del colore. Perché questa scelta?

A dire il vero è dipeso soltanto dal fatto che la prima pubblicazione è avvenuta online. Potevo usare il colore a costo zero e quindi ho deciso di farlo, di sperimentare. In passato avevo già disegnato delle copertine, a colori, e alcune illustrazioni. Però sì, è la prima volta che lo faccio per un intero fumetto.

Fra l’altro è stato fondamentale per la caratterizzazione di alcuni personaggi: il colore verde per le donne di Venere che vediamo nella storia e il rosso, come quello del loro pianeta, per gli uomini di Marte. Il tuo prossimo lavoro proseguirà su questa strada?

Be’, sto lavorando a diverse cose, ora come ora. Alcune sono storie brevi, altre più ampie. In una sto utilizzando addirittura gli acquerelli, altrove sto sperimentando con i pastelli colorati. Ma credo che per alcuni dei miei lavori continuerò ad utilizzare il bianco e nero, se avrò l’impressione che sia più adatto, perché adoro il suo potere evocativo, la sua capacità di rendere le immagini incredibilmente potenti.

Parliamo un po’ di Sam Zabel, come personaggio, che possiamo considerare per molti versi il tuo alter ego. Lo troviamo più o meno nella stessa situazione in cui lo abbiamo lasciato durante Hicksville: alle prese con grandi problemi di autostima, incapace di trovare la propria ispirazione come fumettista e con un sacco di interrogativi sul proprio ruolo di artista. Ma tu non sembri avere di questi problemi come autore. I tuoi fumetti ci piacciono moltissimo e sono evidentemente molto ispirati: ha dunque a che fare col ricordo di un momento della tua vita o Sam incarna in modo simbolico l’atteggiamento che hai verso il tuo mestiere in generale?

Ho iniziato a scrivere Sam Zabel e la Penna Magica dieci o undici anni fa. All’epoca ero reduce da un lavoro per la DC, avevo scritto Batgirl e alcuni numeri di Batman. Dopo quell’esperienza somigliavo molto a Sam, ero incapace di scrivere, mi sentivo di aver perso la mia fede nelle storie e nella fantasia, nelle storie di fantasia. Questo libro è stato, in parte, il mio modo di tornare al punto di partenza. Sam è in parte nella stessa situazione in cui mi trovavo, ma la sua personalità è leggermente diversa dalla mia.

Il motivo per cui lo metto in queste situazioni è per cercare di capirle. Sam risponderà ai contesti in cui mi trovo in modo leggermente diverso da come lo farei io, in modo da diventare il mio personale topo da laboratorio. Lo metto nel labirinto, osservo, e a seconda di come si comporta comprendo meglio la mia vita.

Quasi come guardarsi vivere dall’esterno, insomma?

Esatto. E a volte Sam può anche reagire come me, sovrapporsi alla mia personalità. Ma in quel caso ecco che io cambio la situazione in cui si trova, perché così posso vedere me stesso reagire a quegli stimoli. Sam Zabel e la Penna Magica è diventato, durante la scrittura, una storia che parla di etica e di moralità applicate alla fantasia. Quindi il povero Sam si è trovato in una serie di grandi difficoltà perché io, come persona, cercavo di dare un senso ad alcune cose. Non inizio mai una storia consapevole del messaggio che voglio mandare, non racconto fatti e situazioni che mi sono già chiare e che voglio comunicare ai lettori. Quando scrivo lo faccio per trovare un senso alle cose per me stesso, è un processo di esplorazione.

Un aspetto che forse ti lega profondamente a Sam è la tua considerazione del fumetto di genere. Nella storia fai una critica a te stesso come autore, ma anche a un certo tipo di fumetto di genere, quello di quindici/venti anni fa, che ti sei trovato a scrivere per mestiere. Il personaggio fittizio e metafumettistico di Lady Night è l’emblema di quel che per te è il pessimo fumetto di supereroi. Ma questa tua visione dei comics mainstream è cambiata? E in che modo? Perché a noi sembra che il nostro intero mondo sia profondamente diverso da allora.

Sam Zabel e la Penna MagicaSì. Da quando ho iniziato Hicksville, più di vent’anni fa, il fumetto è cambiato enormemente. Per quanto mi riguarda, il cambiamento più grande è il modo in cui ha espanso le proprie declinazioni, esplodendo in molte direzioni diverse. Rispetto a quell’epoca c’è molta, moltissima varietà di prodotti, generi e stili in più. Inoltre il pubblico che raggiunge e i settori sociali che attrae sono completamente diversi. Soprattutto le graphic novel arrivano in luoghi e a persone che vent’anni fa non avrebbero mai avuto interesse per il fumetto. Autori e autrici come Marjane Satrapi, Alison Bechdel e Zerocalcare da voi stanno raggiungendo nuovi lettori. Soprattutto, la varietà sta nelle persone che i fumetti li fanno. Non si tratta più solo di uomini e delle loro fantasie.

Già. E questa sarebbe stata la mia prossima domanda, dato che in Sam Zabel e la Penna Magica affronti in più di un’occasione il ruolo della donna nei fumetti e nell’immaginario fumettistico di ieri e di oggi.

Ci sono talmente tante donne e bravissime autrici, oggi, che non sarei sorpreso se tra qualche anno fossero loro a dominare il business e l’ambiente. Si tratta di un passaggio enorme. Ci sono sempre state fumettiste donne, ma erano surclassate in termini numerici e non solo. Oggi, se guardiamo l’elenco dei best-seller del New York Times per le graphic novel, negli ultimi mesi ce ne sono quattro su dieci di una bravissima autrice di young adult. Ed è straordinario per uno come me che lavora in questo mondo da trent’anni.

E non sono soltanto le donne. Oggi, negli Stati Uniti, lavorano cartoonist da tutto il mondo, dall’India, dall’Africa. In Cina sta nascendo una scena fumettistica interessante, ci sono addirittura fumettisti transgender e una grande comunità mondiale di autori gay. Questa varietà è una novità. Un tempo il fumetto americano era DC, Marvel, la scena indipendente e quella underground. Queste ultime, però, erano surclassate dalle due major. Ora, invece, DC e Marvel appaiono come una parte molto piccola della scena fumettistica.

Grazie al cielo, direi, dato che sono emersi moltissimi prodotti interessanti tutto attorno.

Esatto. E voglio dire che ci sono diversi ottimi fumetti DC e Marvel, ma quell’idea di fumetto, un tempo dominante, oggi è solo una tra le tante. Ora i fumetti più venduti non sono più i loro, anche se la percezione a livello mondiale è inquinata dal cinema per il grande successo dei film di supereroi, che perlopiù appartengono alla DC o alla Marvel. Ma i loro personaggi sono diventati dei franchise, dei brand di cui i film sono diventati una parte preponderante, relegando i comics a un ruolo sempre meno rilevante.

E questo rischia di essere un grosso problema per Marvel e DC, perché bisognerà capire se sono in grado, ora come ora, di sopravvivere, come case editrici a questo potenziale cambiamento.

Sono d’accordo. E devo dire che non ho proprio idea di quel che succederà a loro nei prossimi dieci anni. Forse si adatteranno in un modo che le renda molto più vitali e forti di oggi. Secondo me dovrebbero agire più come editori e meno come manager di franchise. Ma chissà? Forse scompariranno. Per quanto mi riguarda, adesso come adesso la vera spinta vitale nel mainstream si trova nella Image.

E, di nuovo, hai anticipato la mia domanda. Credo che siano stati in grado di accaparrarsi molti autori, con la “a” maiuscola, inserirli in un contesto di massa e di genere riuscendo però a non alterare assolutamente la loro identità e personalità artistica. E con così tanti titoli di qualità.

Esattamente. E sono stati in grado di trarre grande profitto economico, non solo artistico, da loro. Io trovo affascinante il lavoro di Brandon Graham, ad esempio, o The Wicked + The Divine, che molti vedono come una vera e propria rivoluzione nel fumetto americano. Ma al di là di questo, anche le graphic novel prodotte da Fantagraphics e altri editori hanno sempre più impatto sul mondo dei comics, molto più della roba di Marvel e DC. I comics ci hanno messo decenni per ricavarsi il proprio spazio nella cultura popolare, e non solo, del mondo. E ora ce l’abbiamo fatta, abbiamo avuto successo.

Mi ricordo un paio d’anni fa, quando è morto Kim Thompson di Fantagraphics, uno dei grandi editor americani di sempre. Nel 2001, mi pare, parlammo di quanto fossimo vicini a vincere la guerra per l’accettazione dei fumetti. Kim era uno terribilmente pessimista e incazzato nei confronti del nostro ambiente. Quindi sentirgli dire questa cosa mi convinse, in qualche modo, che il traguardo fosse davvero vicino.

Sam Zabel, nella storia, deve anche lui raggiungere un traguardo: tornare alla fantasia, essere di nuovo in grado di accettare le proprie e tradurle in storie, ma anche entrare a contatto con quelle altrui. Visto che hai scritto un’intera storia su questa abilità, credi che essere capaci di abbracciare non solo la propria fantasia, ma anche quella altrui, sia una capacità più importante per un lettore o per un autore?

Bella domanda. Credo di averla pensata, personalmente dalla prospettiva dell’autore, soprattutto. Una delle cose con cui cercavo di riappacificarmi era l’esperienza che avevo avuto di essere intrappolato per anni nelle fantasie di altre persone, scrivendo Batgirl. In generale, tutto quel che fa parte dell’universo di Batman non mi ha mai interessato e non mi ritrovavo in quell’estetica così dark di Gotham City.

Curiosamente, oggi, dopo tanti anni, Batgirl è un personaggio incredibilmente solare e rinnovato, come forse lo avresti scritto tu.

hicksvilleGià. Io avrei voluto scrivere un personaggio molto più allegro e la mia Cassandra cercava di trovare una via per entrare in quelle storie leggere che Barbara Gordon aveva vissuto nella sua incarnazione precedente. Ma tornando a Sam Zabel, mentre lo scrivevo, la mia prospettiva verso le fantasie che mi mettono in crisi e con cui mi rapporto in maniera complessa è cambiata. Ho iniziato ad apprezzare gli immaginari altrui che ci permettono di vedere il mondo come non avremmo immaginato. Ho capito che il potere di queste fantasie, di queste prospettive, può cambiare il modo in cui osserviamo la vita e l’universo reale e che a volte queste possono addirittura essere pericolose.

Se ci pensi, in politica le persone non fanno altro che costruire una storia, una narrazione e una fantasia, spesso carica di desideri e di passioni. Ma queste narrazioni e fantasie sono spesso incredibilmente disoneste e sono progettate per convincerci a scegliere strade e vie che potrebbero essere distruttive. Se il fascismo è l’esempio più ovvio, Marxismo e Leninismo non sono diversi. Sono fantasie su come il mondo dovrebbe essere per quelle persone.

Questo genere di ansie sono quelle che avevo ben chiare dentro di me durante la stesura di Sam Zabel e la Penna Magica. Ma sono uscito dal processo creativo con questa convinzione: se esiste una responsabilità, per gli autori e per le persone comuni, nei confronti della propria fantasia, è certamente quella di essere onesti. Più siamo onesti e più potremo scoprire di noi stessi e di quel che vogliamo. E di quel che vogliono e desiderano gli altri. Ci sono fantasie, in questo mondo, che mi fanno ribrezzo e le respingo. Eppure, in qualche modo e in certe condizioni, persino quelle possono essere bellissime.

Le fantasie hanno il potere incredibile di cambiare il mondo, perché alterano la percezione che ne abbiamo. E io ho deciso che, piuttosto che annullarle, escludere quelle che mi spaventano, preferisco esplorarle, per capire quali meraviglie inaspettate potrebbero nascondere.

Ma ci vuole coraggio per farlo. E, a proposito della questione, c’è un altro momento che ho trovato molto interessante nel libro: quello in cui Sam e i suoi compagni entrano a far parte di una storia di ambientazione medievale. Alice e Sam hanno un dubbio su come effettivamente siano andate le cose per un particolare di una certa vicenda e Miki, che è un po’ la loro guida in questo viaggio che fanno nei fumetti e nelle fantasie altrui, li rassicura dicendo qualcosa tipo: “qualunque sia la versione che secondo voi è vera, è quella giusta”.

Questa battuta suggerisce un concetto tipico della letteratura, studiatissimo per quanto riguarda la narrazione letteraria: il contributo creativo del lettore, che con la sua immaginazione rende vitale il mondo immaginato dallo scrittore. Ma se non è difficile pensare a questo rapporto tra opera e lettore in un romanzo, ad esempio, dove non ci sono le immagini, non è altrettanto banale farlo per il fumetto, dove il corredo grafico è presente e rischia di imporsi a chi osserva. Credi che anche nei comics ci sia spazio per il lettore, affinché possa sovapporre la propria fantasia a quella dell’autore?

Sam Zabel e la Penna MagicaSì, credo che ci sia un sacco di spazio per questa operazione, per un motivo fondamentale: i disegni non sono la realtà, non risolvono in se stessi la realtà. Sono come piccole mappe, ideogrammi o diagrammi che indicano, o meglio ancora suggeriscono una realtà fittizia. Non bastano da soli. Quando osservi un fumetto, non solo guardi le figure, ma in realtà è più corretto dire che le leggi, come un testo. Le immagini sono scritte in codice e tu le devi decodificare e capire da solo quel che ti stanno dicendo. Quindi ci sono un sacco di vuoti che devi necessariamente colmare con l’immaginazione.

Quindi sì, i lettori di immagini sono chiamati a un’interazione costruttiva e attiva. Oggi sono stato alla Pinacoteca di Brera. E una delle cose interessanti è che raccoglie dipinti di epoche diversissime tra loro e camminando attraverso quadri del Medioevo, del Rinascimento e poi ancora successivi, mi rendevo conto di quanto fossero diversi gli approcci al linguaggio dell’immagine. Bisogna entrare in ognuna di esse e trarne qualcosa. E anche questo è un processo creativo. Alice, ne La Penna Magica, è un’autrice di fan-fiction comics. Prende fumetti, storie, film degli altri e ne trae qualcosa di completamente diverso e personale. Reinventa vicende e personaggi

Il che mi porta a un’altra considerazione: al di là di immagini e parole, c’è molto più che semplici disegni e molto più della storia che ci viene raccontata. C’è un intero universo possibile. Quando ero ragazzo e stavo crescendo e disegnavo i miei primi fumetti, ero solito immaginare la pagina come una finestra verso un’altra realtà. Sentivo un desiderio fortissimo di arrampicarmi attraverso quella finestra. Leggevo TinTin, ad esempio, una delle mie passioni, volevo entrare nel suo mondo. E avevo la sensazione che, una volta che fossi entrato, magari TinTin sarebbe andato via, avrebbe continuato le sue avventure senza di me, ma io sarei stato comunque in grado di esplorare quel mondo che si era lasciato alle spalle. E questo è il genere di interazione che dovremmo avere con ogni narrazione, non importa se si tratta di un film, un fumetto o un romanzo.

Credo che la maggior parte delle persone che non leggono fumetti non capisca e non veda questa potenzialità nel nostro linguaggio. Chi non lo conosce realmente come mezzo di espressione è convinto che sia tanto più semplicato e in qualche modo inferiore alla letteratura proprio perché, nella sua visione, il lettore non deve sforzarsi di contribuire alla creazione del mondo narrativo. Quando invece non è affatto così.

Restando in tema di rapporto con l’arte fumettistica, la tua precedente graphic novel, Hicksville, era ambientata nell’omonimo paesino neozelandese in cui tutto quanto ruota attorno ai comics, tutti ne sono grandi appassionati. Come si vive la Nona Arte in Nuova Zelanda?

Dylan HorrocksAbbiamo una scena fumettistica molto attiva e vitale, ma non abbiamo una vera industria di settore. Siamo un piccolo paese di quattro milioni di abitanti e solo una piccola minoranza è interessata. Quindi per gran parte della mia vita i professionisti del fumetto semplicemente non c’erano e chi voleva disegnare e scrivere per vivere doveva andarsene. Negli anni Settanta c’era Colin Wilson, un artista che stampava una rivista di nome Strips e dovette emigrare in Europa.

Sarebbe poi diventato un dessinateur di successo in Francia e ancora oggi lo è. Vive in Australia ed è stato un modello per moltissime persone, anche per me, quando ho cercato di farmi una carriera nel Regno Unito e negli USA. Ma ora tutto è più semplice, siamo in grado di lavorare per qualunque editore del mondo a distanza, grazie a internet.

Così oggi abbiamo una serie di autori di successo, in patria. Ben Stenbek ad esempio, che ha lavorato molto con Mike Mignola. C’è una scena interessante per quanto riguarda i webcomics, anche, alcuni dei quali hanno raggiunto tale popolarità da diventare un vero e proprio lavoro per i loro autori. Sono nati anche editori che si occupano solo del nostro ambito editoriale, quattro etichette. Rispetto ai miei esordi, in cui Hicksville ha dovuto aspettare tredici anni per trovare un editore neozelandese che lo pubblicasse, quando già era stato tradotto in cinque lingue, le cose sono molto diverse. È ancora molto difficile vivere di fumetto, ma ci sono ampi margini.

Be’, è lo stesso qui in Italia, devo dire.

Immagino, come in tutto il mondo. Che tu sia un autore, artista, editor o editore, vivere di fumetto è sempre una sfida. E ne siamo tutti consapevoli.

E che cosa sai, invece del fumetto italiano? Che sia del passato o del presente, come sei entrato in contatto con la nostra tradizione?

Le prime cose che ho letto erano tradotte in francese, su alcune riviste. Ed erano fumetti di gente come Hugo Pratt. Corto Maltese mi ha completamente spazzato via. Ho poi conosciuto anche Milo Manara e Guido Crepax. Ma poi ho scoperto Lorenzo Mattotti e mi sono perdutamente innamorato di lui. Da allora lo seguo assiduamente. Ultimamente sono totalmente ossessionato da una vostra disegnatrice di nome Gabriella Giandelli. Potrei studiare il suo lavoro per settimane intere.

La cosa meravigliosa di queste visite e di questi viaggi è conoscere nuova gente, nuovi autori. Ad esempio conoscevo Zerocalcare, me ne ha parlato spesso il mio agente, ma non ho mai avuto l’occasione di leggere le sue opere perché non conosco l’Italiano. Non vedo l’ora di vederne una traduzione in inglese.