E venne il giorno, un giorno come nessun altro, in cui Joss Whedon e i Marvel Studios steccarono. Intendiamoci, Avengers: Age of Ultron incasserà al botteghino il consueto miliardo di dollari, in fondo è il sequel del terzo film più redditizio della storia del cinema e ha tra gli attori protagonisti Robert Downey Jr. Ma se parliamo di equilibri, alchimia tra i personaggi e di alzare ulteriormente l’asticella qualitativa nel Marvel Cinematic Universe dopo Captain America: The Winter Soldier, allora questo è il primo passo falso degli Studios da molto tempo a questa parte.

 

– Avvisiamo i lettori che la recensione, in quanto tale, contiene spoiler –

 

Tony Stark ha deciso di farla finita con le armature al termine del terzo capitolo di Iron Man, ma Age of Ultron comincia con lui e il resto degli Avengers in Sokovia a caccia del Barone Strucker, l’uomo attualmente ai vertici dell’Hydra e in possesso dello scettro di Loki. Il gerarca nazista ha un asso nella manica: i gemelli Maximoff, che scopriamo aver acquisito i loro poteri grazie a sperimentazioni sulla Gemma dell’Infinito contenuta nello scettro (niente “inumanità” per loro, dunque).

Uno degli aspetti positivi di Age of Ultron è sicuramente la gestione del lato action, componente che come nel primo film entra in gioco da subito: ogni combattimento è ben coreografato e valorizza le capacità di tutti i personaggi, mettendo in scena combinazioni creative e divertenti. Quella che vediamo farsi strada verso Strucker, pestando decine di scagnozzi, è infatti una squadra decisamente più amalgamata di quella protagonista della precedente pellicola. A quanto pare il film si apre con l’ultima di diverse missioni in cui gli Avengers hanno fatto squadra; se questo da una parte ci permette di vedere i personaggi agire come un team collaudato, dall’altra rappresenta una cesura tra Age of Ultron e la Battaglia di New York: chi pensava che i film degli Avengers rappresentassero gli unici momenti in cui tutti gli eroi si riuniscono, nello stile dei megaeventi a fumetti, cominci a considerare che anche nel Marvel Cinematic Universe esistono le storie mai narrate.

Già dalle prime scene ritroviamo il Capitan America del finale del primo lungometraggio, quello che coordina tatticamente la squadra. Le prime impressioni positive vengono però seppellite col prosieguo della storia, in cui il buon Steve Rogers torna a essere perculato esattamente come in The Avengers, se non peggio: il tutto nasce da un’imprecazione di Tony Stark, subito ripreso da Cap: “Linguaggio…”. Questo lo porterà ad essere nuovamente lo zimbello del gruppo ogni volta che qualcuno dirà una parolaccia. Una scelta decisamente povera di inventiva, che da lettori non vedevamo dai tempi degli Ultimates di Jeph Loeb, con buona pace dell’ottimo lavoro dei fratelli Russo in The Winter Soldier che ci hanno regalato un dignitoso Capitan America, il primo davvero riconducibile alla controparte a fumetti.

Come da tradizione, Iron Man torna a fargli da contraltare con battute sarcastiche… ma forse non abbastanza. La trama di Age of Ultron infatti ruota attorno al punto debole dello Stark cinematografico: non l’alcolismo, ma gli attacchi di panico di cui ha sofferto dopo aver messo fine alla Battaglia di New York, portando un’arma nucleare nel wormhole che si era aperto nel cielo e da cui sono spuntati i chitauri: evento che ha causato parecchio stress a Stark e ha caratterizzato gli eventi di Iron Man 3.

Recuperato lo scettro a Sokovia, i Vendicatori perdono le tracce di Strucker e dei gemelli ma decidono comunque di tornare a New York per “fare bisboccia”. Va detto che questa missione era stata descritta da Stark come qualcosa di conclusivo: lo scopo degli Avengers ora è quello di chiudere tutte le faccende in sospeso per poi sciogliere la squadra. Ma all’insaputa di tutti, Iron Man è caduto vittima delle capacità ipnotiche di Scarlet in quel di Sokovia: Wanda ha mostrato a Tony un futuro di morte e distruzione causato dalla sua inadeguatezza. Dopo questa tragica visione il Vendicatore accelererà il processo di creazione dal sistema di difesa Ultron, aiutato da un recalcitrante Bruce Banner, inizialmente poco convinto che l’avvento dell’intelligenza artificiale possa portare la pace nel mondo. Senza anticipare troppo, Ultron deciderà poi di liberarsi dai “fili che lo legano” e alleatosi con Scarlet e Quicksilver tenterà di togliere di mezzo gli Avengers. Il grande villain del film è stato tratteggiato da Whedon per non scadere nel classico criminale dalla personalità piatta che vuole conquistare il mondo, ma finisce per risultare fin troppo “gigione”, con battute, ammiccamenti e momenti canori. Forse sarebbe stato meglio un cattivo fatto e finito, a questo punto.

Come gran parte delle soluzioni adottate in questo film, l’ossessione di Iron Man che scatenerà l’Era di Ultron è ben giustificata a livello di sceneggiatura ed è sicuramente uno dei motori della storia; nondimeno rientra nei passi falsi che rendono Avengers: Age of Ultron uno spettacolo decisamente meno divertente del primo capitolo. Tony Stark ne esce infatti come una figura drammatica, molto diversa da quella vista nei precedenti film della saga. Non è più il collante del gruppo fin troppo eclettico messo insieme da Nick Fury, semmai l’esatto opposto: un personaggio ossessionato e problematico, a volte anche leggermente schizoide, se consideriamo una sequenza in particolare in cui ridacchia nervosamente mentre il resto della squadra è preoccupata per le sorti del mondo. Non ci azzarderemo a dire che Tony Stark in questo film sia addirittura antipatico, ma poco ci manca. Tutto ciò priva gli spettatori di uno degli ingredienti base del successo di The Avengers. E sappiamo tutti cosa sarebbe stato quel film senza Iron Man.

Se Thor è invece il solito peso massimo monocorde che ha ormai abbandonato ogni linguaggio aulico (come pure l’italiano, in quanto vittima dello spiacevole adattamento), Occhio di Falco, finalmente non più “Falco” o “Agente Falco”, guadagna un po’ di spazio sulla scena. Questo lo porta decisamente distante dal Clint Barton dei fumetti ma permette a Jeremy Renner di sfoggiare un po’ di carattere ed essere qualcosa di più del tizio con arco e frecce tra dei e leggende viventi. Occhio di Falco è in definitiva il cuore di questo film e certamente una delle note positive di Age of Ultron.

Un’ulteriore salto logico è invece rappresentato dall’inedita sinergia tra Hulk e la Vedova Nera, sfruttata a livello tattico dalla squadra come “ninna-nanna” per calmare il Gigante di Giada quando le missioni volgono al termine. Questo legame è in realtà solo un piccolo aspetto dell’intesa che sta nascendo tra Bruce Banner e Natasha Romanoff, con quest’ultima che sin dalle prime sequenze si fa avanti con grande convinzione (per usare un eufemismo) ma ricevendo sempre picche dal dottore: la cosa potrebbe anche risultare interessante, se non fosse che col passare dei minuti regala alcuni dei momenti più frustranti e imbarazzanti del film. Banner inizialmente sembra non concedersi in quanto troppo impacciato e poco disinibito, mentre in seguito, dopo la spettacolare e devastante battaglia in Wakanda in cui Hulk e Iron Man distruggono un’intera città, la scusa per tirarsi indietro diventa più o meno quella di Peter Parker nel primo film di Sam Raimi. Decisamente anacronistico, ma a conti fatti: Hulk non ci sta con Scarlett Johansson per paura di mettere in pericolo la Vedova Nera. Anche in questo caso, la soluzione trovata da Whedon per risolvere il tutto nei minuti finali, non risulterà sufficiente.

Ma la vera novità di Age of Ultron doveva essere rappresentata dai gemelli. Scarlet, interpretata da Elizabeth Olsen, sembra possedere un’ampia gamma di poteri: dall’ipnosi a una forma limitata di telepatia, da poteri telecinetici alla capacità di creare campi di forza. Anche qui, forse un po’ troppo e un po’ vago. Quicksilver è semplicemente un velocista con poco carattere, per cui possiamo tranquillamente affermare che Whedon abbia perso la sfida a distanza con Bryan Singer, regista X-Men: Giorni di un Futuro Passato, che ha saputo valorizzare al meglio il potere di Pietro. E se non è una sconfitta è comunque una resa. A dire il vero né il personaggio interpretato da Evan Peters né quello di Aaron Taylor-Johnson rendono giustizia al carattere scostante e frettoloso del personaggio dei fumetti, ma del resto anche la Wanda Maximoff della Olsen non ha nulla del fascino della Scarlet originale.

L’unico vero colpo di genio è Visione, l’elemento più difficile da rendere sul grande schermo: un sintezoide verde e rosso col mantello giallo. A sorpresa, con il suo avvento vediamo lampi del Whedon migliore: la progenie di Ultron è infatti una figura che catalizza sia lo spettatore che gli Avengers stessi. La sua entrata in scena cambia davvero le sorti della storia e inserisce nel denso calderone di Age of Ultron un punto di vista inedito e un po’ di sano zen.

Ma a conti fatti questo film rappresenta al meglio le frustrazioni di Joss Whedon, che di recente ha dichiarato che girarlo è stato “un incubo”, poco prima di lasciare la regia di Infinity War ai fratelli Russo (Captain America: The Winter Soldier):

Le carte in tavola sono tantissime, e con infinity War le proporzioni diventeranno ancora più enormi. Non sarei in grado di dare ciò che sarebbe necessario per fare quel film. Largo ai giovani, il gioco è loro.

Ci rattrista affermare che il senso di inadeguatezza dell’uomo che è riuscito a portare sul grande schermo una squadra di supereroi tanto eclettica, si può riscontrare già da questo sequel. La strada di Avengers: Age of Ultron è lastricata di buone intenzioni: il tentativo di tenere tutto insieme nel migliore dei modi è evidente, come pure la volontà di spaziare fra i tanti elementi del Marvel Cinematic Universe e introdurne di nuovi (seppur troppo fugaci come lo sprecatissimo Andy Serkins), di dare il giusto spazio ad ogni personaggio e di puntare in alto costruendo una storia più complessa e drammatica. Purtroppo tutto ciò si traduce in una trama talmente fitta da soffocare il sense of wonder e la partecipazione emotiva, che non trovano mai il momento giusto per decollare definitivamente. L’ultimo film degli Avengers firmato Whedon manca dunque di ampio respiro e pecca clamorosamente nell’ambito in cui stravinceva nel primo capitolo: la leggerezza. Si ride meno, a volte a denti stretti, proprio perché le interazioni tra i personaggi non hanno il giusto ritmo per risultare spontanee.

Avengers: Age of Ultron è un prodotto con un grande conflitto interiore: è decisamente plot oriented ma con la smania di voler regalare a tutti i costi quante più scene intimiste possibili a ogni personaggio. La sensazione di troppa carne al fuoco è palese sin dai primi minuti: è sì un film ad alto tasso di spettacolarità, ma anche la montagna che partorisce un topolino, una portata che ti lascia più appesantito che piacevolmente sazio. Non riesce a mutuare l’equilibrio tra dramma e ironia scovato dai Marvel Studios in Captain America: The Winter Soldier e in definitiva pasticcia col franchise più redditizio di Hollywood. Non ci resta che sperare che Ant-Man, già compromesso dall’abbandono di Edgar Wright, sia a sorpresa un gioiellino e che i fratelli Russo non siano un fuoco di paglia. Tocca a Captain America: Civil War risollevare le sorti dell’Universo Marvel al cinema.