Avete letto l’intervista a Giacomo Michelon?
E quella a Piero Lusso?
Quella a Casty?
Quella a Francesco Artibani?
Bene, allora adesso potete proseguire, leggendo l’intervista a Bruno Cannucciari:

Come hai cominciato a collaborare con Lupo Alberto? Cosa ricordi del periodo in cui muovevi i primi passi con il personaggio?

Ho iniziato intrufolandomi tra le pagine del Corriere del Pollaio (l’inserto del Lupo che veniva pubblicato sul finire degli anni ’80) con Winny, personaggino da me concepito giustamente destinato all’oblio ma che tanta soddisfazione mi dava allora, a riprova di quanto poco basti, da pischelli, per sentirsi fichissimi. Magari un giorno lo riprendo, invecchiato di trent’anni.
Comunque, all’epoca Silver cercava collaboratori da affiancare a Giac; io alzai la mano e mi ritrovai una sua sceneggiatura natalizia da disegnare. Lo feci: bene, bravo, avanti così.
Del primissimo periodo ricordo la mia totale inadeguatezza: mi accorgevo di quanto il mio Lupo facesse schifo solo a pubblicazione avvenuta. Mentre lo disegnavo, invece, ero pervaso da esaltazione egolatrica  ed ero veramente convinto di farlo ugualeuguale a Silver (see, uguale a Silver con le mani legate dietro la schiena, in equilibrio su un ponte di corda, coi coccodrilli sotto). Egli fu invero magnanimo, allora, e di questo non lo ringrazierò mai abbastanza: imparar facendo è un lusso che non ci si può più permettere.

Rispetto ad altri personaggi con cui hai lavorato, cosa contraddistingue il cast che popola la fattoria McKenzie? Quali sono le caratteristiche che lo differenziano dagli altri fumetti?

Non ho lavorato con moltissimi personaggi, anzi. Prima del Lupo facevo personaggi miei, o una sorta di meta-fumetto con Franco Fossati, o illustrazioni e vignette per un quotidiano economico pipponissimo che tentavo disperatamente di alleggerire.
Ultimamente faccio parte dello staff di Nirvana, in veste di inchiostratore (non partecipo, dunque, al processo creativo, pur condividendo in toto spirito e intenti della serie). Posso quindi tentare un paragone solo, appunto, con Nirvana, che presenta analoghe caratteristiche – coralità, caratteri ben costruiti, solido impianto narrativo, uso della satira, forte legame autori/personaggi – ma è diverso per approccio, linguaggio, target.
Sul cast del Lupo non mi dilungo. Potete ben immaginare quale piacere si provi a far recitare una personalità multipla come Enrico la Talpa, o il perché ciascuno di noi autori decida di sviluppare un personaggio “minore” che sente affine, o la doverosa attenzione che va prestata per evitare di forzare o snaturare personaggi già così splendidamente caratterizzati.

Come ho avuto modo di dire in altre occasioni, una delle caratteristiche vincenti del Lupo è, a mio avviso, la sua “artigianalità”: siamo in pochi a farlo, non esistono mega-strutture né intermediari, il rapporto con l’editore (che poi è anche l’Autore) è diretto.
Ci mettiamo dentro le nostre vite: nel bene e nel male, nel fulgore delle mattine eroiche e nella cupezza dei pomeriggi malmostosi. O delle notti insonni. Ci mettiamo la nostra visione del mondo, senza farne un gracchiante megafono dei nostri pensieri ma comunque prendendo posizione senza tanti giri di parole.
Altre peculiarità interessanti sono la leggerezza e il linguaggio, e sono fortemente connesse. La leggerezza non è data da censura o autocensura: è una modalità dell’anima, prima ancora che narrativa.
Mi è capitato, ultimamente, di prendere come spunto per una serie di tavole la nota legge omofoba di Putin. Legge orrenda, argomento spinoso che in altre sedi – compreso il salotto di casa propria – poteva dare adito a doppi sensi, battute pesanti, fragorose ( e sacrosante ) incazzature. Ma se fai il Lupo ti devi disporre a uno sguardo laterale. E tanto più coltiverai questo sguardo laterale, tanto meglio ti verrà il Lupo e tanto più ti sentirai fuori da ogni rappresentazione ideologica della realtà. La leggerezza rende liberi, mi verrebbe da dire, se non suonasse sinistro. E il linguaggio del Lupo, così familiare, domestico ( e difficilissimo da rendere, nonostante le apparenze ), così mescolato fra alto e basso, cialtronate e voli pindarici, serve proprio a sostanziare questa leggerezza di fondo. Un linguaggio più propriamente fumettistico, paludato, sintatticamente esatto lo imbalsamerebbe.
Altra caratteristica è la credibilità del Lupo, fuori e dentro le pagine dei fumetti. Mi spiego con un esempio: prendete Bono Vox degli U2. Può appoggiare o promuovere campagne sociali, affrontare tematiche “alte” spogliandosi dei panni da rock star, e poi tornare dietro un microfono e cantare una canzone d’amore di tre accordi. Senza perdere un’oncia di credibilità. (Sulla bontà di Bono Vox e del prodotto U2 potremmo disquisire per ore, ma, insomma, era per fare un esempio; avrei potuto dire Jovanotti, ma era peggio. Diciamo allora: Frank Zappa!) È una questione – parlo del Lupo – di empatia, di onestà intellettuale, di attenzione alle cose del mondo, di presenza. Di disponibilità al dialogo. E qui voglio citare anche il grande lavoro di Rosangela Percoco sulla posta e i redazionali: anche questo è Lupo Alberto, tanto quanto le tavole e le storie.

Mi preme sottolineare un’ultima, fondamentale caratteristica, correlata alla precedente: il Lupo non ha la pretesa – e la supponenza – di voler apparire a tutti i costi intelligente. E ha l’attitudine a smarcarsi: quando qualcuno tenta di ingabbiarlo in un ambito puramente satirico ecco che svicola con qualche disarmante, comicissima minchiata.

Quali sono le storie di Lupo Alberto che preferisci? 

C’è una storia di Silver che amo alla follia, ma come per molte altre non ne ricordo il titolo (testa mia, testa mia, perché mi hai abbandonato?). Credo comunque sia la prima apparizione di Sam Falco, quella in cui un’indagine su una serie di omicidi e amputazioni si risolve in un “bollito misto”. Semplice ed efficace nei disegni, incalzante nel ritmo e amara nel finale: bellissima!
Mi piace molto Guerra di Giac, un’altra sua vecchia sui bambini di strada brasiliani, Murmure e tutte quelle di fantascienza, che Giac disegna da dio.
Mi piacciono alcune di quelle disegnate da Valentina D’Orsi, perché il suo tratto preciso e pulito ha su di me lo stesso effetto pacificante che, da piccolo, provavo per le storie Disney di scuola danese (se non sbaglio) inframmezzate a quelle molto più “personali” di Cavazzano, Scarpa, De Vita.
Mi piace Il tesoro dei McKenzie di Cavazzano-Artibani-Faraci.
Delle mie è difficile dire. Ho cominciato ad essere mediamente soddisfatto di quello che realizzavo intorno ai 40 anni; quando ho iniziato a fare fumetti non ne avevo ancora 18, sto a un paio di isolati dai 50…vedete un po’ voi. Quindi direi – a parte La parola alla difesa e Il grande cocomero con Artibani, La casa del vampiro con Lusso, un paio con Casty e Faraci – che preferisco le ultime; quelle ampiamente celebrate (e di ciò ringrazio tutti) in ogni dove, ultimamente su Lo Spazio Bianco. Alle quali aggiungerei Messer Correggio e Fahrenheit 185, storie diversissime tra loro che ho affrontato documentandomi e divertendomi moltissimo.

Da anni la visibilità della testata è in calo, con sempre meno storie inedite e una produzione che purtroppo non è paragonabile agli anni d’oro del personaggio… Pensi che il personaggio abbia ancora qualcosa da dire? Cosa potrebbe farlo tornare alla ribalta? 

Per il fortissimo legame autore/personaggio che caratterizza Lupo Alberto, mi verrebbe di rispondere: finchè Silver, Giac, Piero, io (tacendo degli altri per brevità) avremo qualcosa da dire, il Lupo avrà qualcosa da dire.
Subisce il peso degli anni e di una lunga esposizione, ovvio, ma non ha ancora perso la capacità di leggere la realtà. La legge, ovvio, con gli occhi di autori che non sono più di primo pelo da un bel po’; ma, per quanto mi riguarda, non ho nessunissima voglia di trucchi giovanilistici per accattivarmi le nuove leve di lettori. Siamo quel che siamo.
Abbiamo pochi mezzi, con quelli ci dobbiamo arrangiare. Il rischio, in questi casi, è che a esiguità di mezzi finisca per corrispondere esiguità di idee, rimpicciolimento dei sogni. E io questo voglio scongiurarlo, ci provo e ci proverò.
Non so bene cosa potrebbe far tornare il Lupo alla ribalta, so che a me piacerebbe un mensile più agile. In questo periodo, vaghissimo e di nulle certezze, a me vengono in mente idee per tavole, storie da 6, 10, 3, 21, strisce, vignette singole, illustrazioni a tutta pagina. Perché fare una tavola se un’idea funziona bene per una striscia? Se una buona idea per una tavola autoconclusiva necessita di un ritmo meno sincopato, perché non svilupparla su due tavole? Perché non spendere un pomeriggio a pasticciare con matite e pennarelli se ti viene un’idea per un’ illustrazione divertente? Non tutto deve essere per forza stra-perfetto, spesso molte cose “bozzettate” sono di gran lunga più incisive di eventuali definitivi. E potrei continuare.
Insomma, mi piacerebbe un Lupo un po’ più “situazionista”, ovviamente organizzato con un minimo di criterio, non “ad capocchiam”.
Mi si potrebbe obiettare: ma poi diventa difficile una eventuale riedizione in volume del materiale.
Ma, in questo periodo vaghissimo e di nulle certezze, è di questo che dobbiamo preoccuparci?

Chiudiamo l’intervista con un disegno che lo stesso Bruno ci ha mandato, per celebrare un Lupo Alberto più sensuale che mai, intento a celebrare il suo quarantesimo anniversario.

Disegno per intervista